Archivi categoria: Riflessioni politiche e didattiche

Il diritto al sapere critico per difendere la scuola pubblica statale e il benessere psicofisico di alunne/i e personale

1 DICEMBRE 2020

venerdì 11 dicembre 2020 dalle 8.30 alle 13.30

in modalità videoconferenza, il link per il collegamento sarà reso disponibile pochi giorni prima del convegno.

per iscriversi al convegno clicca qui oppure inviare il modulo in allegato a cespbo@gmail.com

locandina dell’evento


Convegno Nazionale di Formazione

Il CESP è Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola (D. M. 25/07/06 prot.869). Ricordiamo che si ha diritto all’ESONERO DAL SERVIZIO PER IL PERSONALE ISPETTIVO, DIRIGENTE, DOCENTE E ATA con diritto alla sostituzione in base all’art.64 comma 4-5- 6- 7 CCNL2006/2009 – CIRC. MIUR PROT. 406 DEL 21/02/06).

Fai richiesta alla segreteria del tuo istituto o compila il modulo allegato alla locandina.


PROGRAMMA:

  • Ore 8.30: Registrazione dei partecipanti
  • Ore 8.45: Introduzione, Anna Grazia Stammati, Presidente CESP;
  • Ore 9.00: Superare DaD e competenze per ridare senso e prospettive al fare scuola, Serena Tusini, docente, La Spezia;
  • Ore 9.30: La scuola è salute! Questo momento difficile come occasione per un nuovo inizio pedagogico, Daniele Novara, Pedagogista e Autore, Fondatore e direttore del CPP;
  • Ore 10.30: Pausa caffè
  • Ore 11.15: Il liberismo, la pandemia, i diritti, Piero Bernocchi, Portavoce Confederazione Cobas;
  • Ore 11.40: La società riprende a ragionare sulla scuola, Costanza Margiotta, Università di Padova, Priorità alla Scuola;
  • Ore 12.30: Pausa caffé
  • Ore 12.45 Un primo bilancio dalla chiusura di marzo ai problemi attuali, Contributi di: Barbara Bertani, Docente, Reggio Emilia e Silvana Vacirca, Docente, Firenze;
  • Ore 13.15: Pausa pranzo

SCARICA E STAMPA IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO

UN CONTRATTO CHE NON TUTELA NÉ I LAVORATORI, NÉ LA SCUOLA

Davvero nessuno sentiva l’esigenza di un contratto sulla didattica digitale che, anziché fare chiarezza e garantire i lavoratori della scuola, di fatto aumenta il caos nelle scuole. La preoccupazione principale dei sindacati firmatari pare quella di garantirsi un ruolo di interlocutori nei confronti del governo: come poi riempire quel ruolo e, soprattutto, come riempirlo in difesa dei lavoratori, pare una questione secondaria. Da qui l’incredibile atteggiamento della CGIL che prima non firma il contratto, ma poi lo fa entrare in vigore senza ottenere nulla di più: solo una Nota “condivisa” che per certi aspetti è addirittura peggiorativa rispetto al contratto. Ma con una procedura insolita, prevista dalla dichiarazione congiunta, la Nota diventa l’interpretazione vincolante del CCNI sulla DDI per l’Amministrazione e per le OO.SS. firmatarie.  In ogni caso, l’effetto congiunto del CCNI e della Nota Ministeriale n° 2002 del 9.11. 2020, con un finto gioco delle parti, sta creando un vero guazzabuglio nelle scuole, di cui sono pienamente e politicamente responsabili sia il Ministero che Cgil, Cisl e Anief. Docenti lavoratori di serie B – Il contratto avrebbe dovuto entrare nel merito della nuova tipologia di lavoro. Invece, oggi i docenti italiani in DAD non hanno un inquadramento preciso e, di fatto, hanno minori diritti alla salute, alla sicurezza, alla tutela della privacy, alla limitazione dell’esposizione al video, rispetto ai lavoratori impegnati nel telelavoro. Le nostre case e i nostri dispositivi divengono spazi e strumenti dell’amministrazione per garantire la prestazione lavorativa, senza alcun tentativo di arginare questa invasione della sfera privata e di porre dei confini che delimitino con chiarezza l’ambito del lavoro da quello della vita. Non viene definito alcun rischio per la salute connesso alla nuova modalità di prestazione lavorativa; non viene chiarito come si applica la normativa a tutela degli infortuni quando il luogo di lavoro diventa la propria casa; viene sdoganato il fatto che siano i docenti a doversi fare carico dell’efficienza delle proprie macchine, della connessione e, sul piano della privacy, della dotazione di adeguati sistemi di protezione dei dati altrui, perché sono di proprietà dell’amministrazione, quasi fossero divenuti ormai lavoratori autonomi e non più dipendenti. Non viene previsto nulla riguardo al diritto alla disconnessione – o meglio il diritto a vivere senza l’ossessione della connessione- che è ancora una volta e colpevolmente rinviato alla contrattazione d’istituto, come se il problema di separare il tempo di vita e il tempo di lavoro non fosse un problema di carattere nazionale e non si acuisse con la DAD per i docenti e con il lavoro agile per gli Ata. Far West contrattuale – Gli obblighi e le modalità di lavoro discenderanno direttamente dai Piani sulla Didattica integrata approvati dai Collegi Docenti. Le docenti e i docenti italiani sono dunque lasciati in balia dei Dirigenti Scolastici, vista la condizione disperata della democrazia degli Organi Collegiali nella scuola italiana, che i firmatari conoscono bene! Non dovrebbe un contratto nazionale definire un quadro certo di regole per arginare proprio gli abusi e le illegittimità che si determinano nelle singole scuole in nome dell’Autonomia scolastica? Invece, si lascia campo libero a un far west contrattuale definito a livello di scuola e si lascia ai DS ampia discrezionalità; nel Contratto si sottolineano in pompa magna le competenze degli Organi Collegiali, e nel puntuale gioco delle parti la Nota concordata afferma che “La dirigenza scolastica, nel rispetto delle deliberazioni degli organi collegiali nell’ambito del Piano DDI, adotta, comunque, ogni disposizione organizzativa atta a creare le migliori condizioni per l’attuazione delle disposizioni normative a tutela della sicurezza e della salute della collettività, nonché per l’erogazione della didattica in DDI”. Aumento del carico di lavoro – Sull’orario di lavoro sarebbe stato più che mai lecito attendersi almeno un riconoscimento del carico di lavoro aggiuntivo imposto dalla didattica digitale e dalla richiesta di far fronte in modo flessibile alla situazione di emergenza, adeguando la metodologia didattica (in presenza, a distanza, mista) al contesto epidemiologico e alle disposizioni normative. Invece, si è deciso di equiparare la didattica a distanza alla didattica in presenza, rendendo ordinario ciò che non lo è: un intervento che peraltro non chiarisce adeguatamente nemmeno il punto chiave dei recuperi al fine di evitare richieste ingiustificate in seguito alla riduzione dell’unità oraria di lezione connessa all’attuazione della DDI. Sarebbe stato semplice chiarire in modo definitivo che qualsiasi riduzione dell’unità oraria di lezione o del monte orario settimanale determinata dall’attuazione di quanto previsto nei piani per la didattica digitale integrata e dalle linee guida, non poteva comportare ulteriori obblighi di lavoro, ma questo non è stato fatto. Nulla per i precari –  ANIEF ha firmato subito. Se i precari pensavano di aver trovato un sindacato di riferimento, alla prima prova dei fatti è lampante come siano stati utilizzati solo per ottenere la rappresentanza. E solo dopo aver firmato, ANIEF chiede l’estensione della carta docente anche per i precari, dimenticando che un sindacato serio pone le condizioni PRIMA, non DOPO aver firmato. E infatti il passaggio sui docenti precari è quello più fumoso: il Ministero sosterrà “ogni azione possibile utile a supportare l’erogazione della DID da parte dei docenti a tempo determinato”. Nulla per il personale Ata – che sperimenta sempre di più la pervasività del lavoro agile, se non la richiesta della Cgil della convocazione per “il confronto” sul lavoro agile (NB: non la contrattazione), anche questa dopo la firma del contratto sulla DID e non contestualmente. Piattaforme delle multinazionali del web –  Nuove risorse vengono invocate solo per il solito calderone che da mesi si sta alimentando: la connettività delle istituzioni scolastiche, gli ambienti scolastici innovativi, ecc. Nemmeno la traccia di una clausola che impegni il Ministero a predisporre una piattaforma pubblica: nella dichiarazione congiunta si parla di piattaforme gratuite per docenti e studenti, ma non per le scuole! Il giudizio complessivo sul contratto firmato non può che essere fortemente negativo, ma questo non ci impedisce di distinguere il CCNI dalla Nota nei soli due casi in cui il primo è uno strumento utilizzabile in difesa dei docenti, scardinando il gioco delle parti che sembrerebbe sotteso alla loro stesura concordata. Il contratto non prevede alcun obbligo di recupero e ribadisce la piena valenza di tutta la normativa contrattuale, ivi compreso l’art. 28 c.7 e 8 del CCNL 2006-08 che, richiamando le C. M. n. 243/1979 e n. 192/1980 e successive, prevede che se la riduzione oraria è dovuta a causa di forza maggiore e “i motivi sono estranei alla didattica” (come è di tutta evidenza in questo caso , in cui il ricorso alla DAD , con la conseguente inevitabile riduzione oraria, è imposta dal riacutizzarsi dell’emergenza sanitaria e dalle disposizioni del DPCM del 4 novembre) “non è configurabile alcun obbligo per i docenti di recuperare le frazioni orarie oggetto di riduzione”. Invece, la Nota prevede che “il personale docente è tenuto al rispetto del proprio orario di servizio, anche nel caso in cui siano state adottate unità orarie inferiori a 60 minuti, con gli eventuali recuperi”. La didattica digitale integrata non si attua oltre l’emergenza e il Contratto dice chiaramente all’art. 1 “Casi in cui si può ricorrere alla DDI e durata del CCNI” che solo “fino al perdurare dello stato di emergenza deliberato dal CdM, dovuto al diffondersi del COVID 19, l’attività didattica sarà effettuata a distanza attraverso la modalità della DDI..”, quindi configurando la didattica a distanza solo come didattica dell’emergenza. Anche il D.L. n. 22/2020, convertito in l. n. 41/2020, prevede all’art. 2 che solo in “in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza”.La Nota, in continuità, con le Linee Guida istituzionalizza la DAD anche al di là dell’emergenza, almeno per quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado.                                                                                                          

Per entrambi questi casi va detto con forza che solo il CCNI costituisce una fonte del diritto e fonda diritti e obblighi, mentre la Nota non è una fonte del diritto. Per cui invitiamo le Istituzioni scolastiche, gli organi collegiali, le RSU e i lavoratori tutti ad applicare il CCNI e non la Nota. Non vi è nulla da recuperare in alcuna forma per le riduzioni orarie deliberate dal Consiglio d’Istituto e dovute all’emergenza sanitaria. Vanno rigettate delibere del Collegio docenti di riduzione oraria per motivi didattici, che non rispondono alla realtà. La DID è solo didattica dell’emergenza e finisce con l’emergenza. Contro ogni tentativo di normalizzazione dell’emergenza e contro la retorica ministeriale ribadiamo una volta di più che la DAD non è scuola. La favola della didattica digitale = qualità si è infranta di fronte alla realtà. La nostra voce si unisce a quella di pedagogisti, psicologi e soprattutto a quella di docenti, genitori e studenti che hanno sperimentato la sospensione di fatto del diritto allo studio. Dobbiamo riaprire al più presto e in sicurezza tutte le scuole di ogni ordine e grado, prima che si riapra la farsa della valutazione a distanza. Dobbiamo riaprire al più presto le scuole per lasciarci alle spalle questo contratto integrativo e per restituire dignità professionale e diritti all’intera categoria. Per farlo è necessario fare oggi quello che colpevolmente Governo e Regioni non hanno fatto questa estate: potenziare sanità, trasporti pubblici, organici e spazi scolastici. Non averlo fatto ci ha portato alla situazione di nuovo drammatica della sanità pubblica e a chiudere le scuole quando in Europa le tengono aperte anche con lockdown più estesi. Continuare a non farlo ora significherà arrivare di nuovo impreparati al momento della riapertura con il rischio di esporsi a nuove ondate della pandemia. Ad ogni passaggio di questo tipo la responsabilità politica e morale del governo aumenta a dismisura!


22/11/2020

ESECUTIVO NAZIONALE DEI COBAS – COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA

21 novembre Flash mob per una società della cura

I sindacati Cobas, SGB, SiCobas e USI-CIT aderiscono e partecipano al Flash Mob lanciato nell’ambito della giornata nazionale di mobilitazione della Rete Nazionale “Società della Cura” e organizzata localmente dalla “Assemblea per la Salute del Territorio”, previsto per sabato 21 novembre, davanti all’Ospedale Maggiore di Bologna ,a sostegno di tutti gli operatori sanitari impegnati quotidianamente nella emergenza covid19.

Nessuno/a deve essere lasciato/a indietro, per una società della cura

COMUNICATO STAMPA

21 novembre, manifestazioni in tutta Italia, a Roma P.del Popolo (ore 10-14)

L’emergenza non può provocare discriminazioni tra i diritti delle persone, tra chi ha accesso a cure e reddito e chi ne è escluso/a. Così si accentuano le diseguaglianze sociali, economiche, culturali e di genere, si frantuma la società tra chi ha garanzie e sinecure di vario tipo e chi non ha né garanzie né difese economiche e sociali. Le crisi sanitarie, economiche e ambientali vanno affrontate con un piano unitario, che non lasci indietro nessuno/a, bloccando in particolare la disgregazione regionalistica. Tale piano va avviato con l’obiettivo di una radicale conversione economica, sociale, ambientale e culturale, fuori dall’economia del profitto, per una società della cura. E qui ed ora, richiediamo reddito per tutti/e e aiuti adeguati durante tutta l’emergenza sanitaria; il rispetto costante delle misure di prevenzione, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; investimenti e assunzioni per garantire davvero sanità e istruzione pubbliche, trasporti, casa, accoglienza.

E in particolare per l’istruzione pubblica, chiediamo l’immediata riapertura delle scuole di ogni ordine e grado, come accade in Germania, Francia, Olanda, Irlanda e persino nel Regno Unito (in pieno lockdown). La scuola è relazione umana, oltre che cognitiva, e non può essere delegata allo schermo di un computer: Mentre la scuola pubblica si prefigge la riduzione delle diseguaglianze, la cosiddetta Didattica a Distanza (DAD) le aumenta. La chiusura di quattro mesi nello scorso anno scolastico ha già provocato effetti molto negativi sull’apprendimento degli studenti, sulle loro capacità cognitive di livello più alto, sul loro spirito critico, nonché indotto processi dannosissimi a livello psicologico, sui meccanismi relazionali e affettivi. Questa nuova chiusura effettuata irresponsabilmente e caoticamente (anche a causa di quella frammentazione regionalistica che si vorrebbe acuire con la cosiddetta “autonomia differenziata”) e malgrado tutti gli indicatori pandemici dimostrino che le scuole sono un posto più sicuro di tanti luoghi restati aperti, ingigantirebbe, soprattutto se prolungata oltre il 3 dicembre, tutti i danni per gli studenti che abbiamo qui citato, e li renderebbe irreversibili e irrecuperabili per un’intera generazione.

Dunque, su questi temi, obiettivi e proposte, la coalizionePer la società della cura, di cui i COBAS fanno parte con il massimo impegno, promuove, insieme a centinaia di realtà sociali, sindacali, studentesche, a comitati, reti associative, di movimento e strutture autogestite, una grande giornata di mobilitazione nazionale con manifestazioni e iniziative in tutta Italia, nel pieno rispetto delle norme anti-Covid. In particolare a Roma la manifestazione si terrà a P. del Popolo dalle 10 alle 14.

Piero Bernocchi   portavoce nazionale COBAS – Confederazione dei Comitati di base

19 novembre 2020

BOLOGNA (ore 11)
FLASH MOB ALL’OSPEDALE MAGGIORE: sosteniamo medici, infermieri e operatori sanitari


ASCOLTA L’INTERVENTO DI di Roberta di Priorità alla Scuola Bologna

La Confederazione dei comitati di base aderisce, insieme a numerose realtà sociali, al Manifesto PER LA SOCIETÀ DELLA CURA

IL MANIFESTO PER LA SOCIETA’ DELLA CURA

USCIRE DALL’ECONOMIA DEL PROFITTO, COSTRUIRE LA SOCIETA’ DELLA CURA

Premessa

Un virus ha messo in crisi il mondo intero: il Covid 19 si è diffuso in brevissimo tempo in tutto il pianeta, ha indotto all’auto-reclusione metà della popolazione mondiale, ha interrotto attività produttive, commerciali, sociali e culturali, e continua a mietere vittime.

Dentro l’emergenza sanitaria e sociale tutt* abbiamo sperimentato la precarietà dell’esistenza, la fragilità e l’interdipendenza della vita umana e sociale. Abbiamo avuto prova di quali siano le attività e i lavori essenziali alla vita e alla comunità. Abbiamo avuto dimostrazione di quanto sia delicata la relazione con la natura e i differenti sistemi ecologici: non siamo i padroni del pianeta e della vita che contiene, siamo parte della vita sulla Terra e da lei dipendiamo.

Decenni di politiche di tagli, privatizzazione e aziendalizzazione della sanità, di globalizzazione guidata dal profitto, hanno trasformato un serio problema epidemiologico in una tragedia di massa, dimostrando quanto essenziale ed ampia sia invece la dimensione sociale del diritto alla salute.

La pandemia ha messo in evidenza come un sistema basato sul pensiero unico del mercato e sul profitto, su un antropocentrismo predatorio, sulla riduzione di tutto il vivente a merce non sia in grado di garantire protezione ad alcun*.

La pandemia è una prova della crisi sistemica in atto, le cui principali evidenze sono determinate dalla drammatica crisi climatica, provocata dal riscaldamento globale, e dalla gigantesca diseguaglianza sociale, che ha raggiunto livelli senza precedenti.

L’emergenza climatica è vicina al punto di rottura irreversibile degli equilibri geologici, chimici, fisici e biologici che fanno della Terra un luogo abitabile; la diseguaglianza sociale si è resa ancor più evidente durante la pandemia, mostrando la propensione del sistema economico, sanitario e culturale vigente a selezionare tra vite degne e vite di scarto.

Giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia e richiedono in tempi estremamente brevi una radicale inversione di rotta rispetto all’attuale modello economico e ai suoi impatti sociali, ecologici e climatici.

Niente può essere più come prima, per il semplice motivo che è stato proprio il prima a causare il disastro.

Oggi più che mai, ad un sistema che tutto subordina all’economia del profitto, dobbiamo contrapporre la costruzione di una società della cura, che sia cura di sé, dell’altr*, dell’ambiente, del vivente, della casa comune e delle generazioni che verranno.

1. Conversione ecologica della società

L’emergenza climatica è drammaticamente vicina al punto di non ritorno. Il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo: il riscaldamento climatico si aggrava, aumentano gli incendi, accelera la scomparsa dei ghiacciai, la morte delle barriere coralline, la sparizione di interi ecosistemi e di specie animali e vegetali, aumentano le inondazioni e i fenomeni meteorologici estremi.

Anche la nostra crescente vulnerabilità alle pandemie ha la sua causa profonda nella distruzione degli ecosistemi naturali, nella progressiva industrializzazione della produzione, in primo luogo di quella agroalimentare, e nella velocità degli spostamenti di capitali, merci e persone. Un modello produttivo basato sulla chimica tossica e sugli allevamenti intensivi ha provocato un verticale aumento della deforestazione e una drastica diminuzione della biodiversità. Tutto questo, sommato a una crescente urbanizzazione, all’estensione delle megalopoli e all’intensificazione dell’inquinamento, ha portato a un cambiamento repentino degli habitat di molte specie animali e vegetali, sovvertendo ecosistemi consolidati, modificandone il funzionamento e permettendo una maggiore contiguità tra le specie selvatiche e domestiche.

Una radicale inversione di rotta in tempi estremamente rapidi è assolutamente necessaria e inderogabile.

Occorre promuovere la riappropriazione sociale delle riserve ecologiche e della filiera del cibo, sottraendola all’agro-business e alla grande distribuzione, per garantire la sovranità alimentare, ovvero il diritto di tutt* ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica.

Occorre avviare una profonda conversione ecologica del sistema tecnologico e industriale, a partire dalla decisione collettiva su “che cosa, come, dove, quanto e per chi” produrre e da un approccio eco-sistemico e circolare ai cicli di lavorazione e alle filiere, dall’estrazione dei materiali alla produzione, dalla valorizzazione ai mercati, al consumo finale.

Occorre invertire la rotta nel sistema del commercio internazionale e degli investimenti finanziari, sostituendo l’inviolabilità dei diritti umani, ambientali, economici e sociali all’attuale intoccabilità dei profitti, e rendendo vincolanti tutte le norme di tutela sociale e ambientale per tutte le imprese, a partire da quelle multinazionali, anziché concedere loro di agirle solo volontariamente o come forme di filantropia.

Un nuovo paradigma energetico, con l’immediato abbandono dei combustibili fossili, deve fondarsi su energia “pulita, territoriale e democratica” invece che “termica, centralizzata e militarizzata”. Un approccio sano al territorio e alla mobilità deve porre fine al consumo di suolo e alle Grandi e meno grandi Opere inutili e dannose, per permetterci di vivere in comunità, città e sistemi insediativi che siano luoghi di vita degna, socialità e cultura, collegati tra essi in modo sostenibile.

Va profondamente ripensata la relazione di potere fra esseri umani e tutte le altre forme di vita sul pianeta: non possiamo assistere allo sterminio di molte specie animali e al brutale sfruttamento di diverse altre, pensando di restare indenni alle conseguenza epidemiologiche, climatiche, ecologiche ed etiche.

Occorre una conversione ecologica, una rivoluzione culturale, che ispiri e promuova un cambiamento economico e degli stili di vita.

2. Lavoro, reddito e welfare nella società della cura

La pandemia ha reso più evidente che nessuna produzione economica è possibile senza garantire la riproduzione biologica e sociale, come il pensiero eco-femminista e la visione cosmogonica dei popoli nativi sostengono da sempre.

La riproduzione sociale – intesa come tutte le attività e le istituzioni necessarie per garantire la vita, nella sua piena dignità – significa cura di sé, dell’altr* e dell’ambiente: ed è è attorno a questi nodi che va ripensato l’intero modello economico-sociale.

La pandemia ha fatto ancor di più sprofondare nella disperazione le fasce deboli della popolazione, dai migranti ai senza casa, dai disoccupati ai disabili, dalle persone fragili ai non autosufficienti, e ha allargato la condizione di precarietà, con altri milioni di persone che si sono trovate senza alcun reddito.

Non può esserci società della cura senza il superamento di tutte le condizioni di precarietà e una ridefinizione dei concetti di benessere sociale, lavoro, reddito e welfare.

La conversione ecologica è una lotta per abbandonare al più presto tutte le attività che fanno male alla convivenza degli umani, tra di loro e con la Terra, per promuovere altre attività che prevedono la cura di sé, dell’altr* e di tutto il vivente: la riproduzione della vita nelle condizioni migliori che si possono conseguire.

L’attività lavorativa deve basarsi su un’ampia socializzazione del lavoro necessario, accompagnata da una netta riduzione del tempo individuale a questo dedicato, affinché l’accesso al lavoro sia l’esito di una redistribuzione solidale e non di una feroce competizione fra le persone e i Paesi, dentro un orizzonte che subordini il valore di scambio al valore d’uso e organizzi la produzione in funzione dei bisogni sociali, ambientali e di genere.

Se la cura di sé, dell’altr* e dell’ambiente sono gli obiettivi del nuovo patto sociale, il reddito è il dividendo sociale della cooperazione tra le attività di ciascun*, e il diritto al reddito è il riconoscimento della centralità dell’attività di ogni individuo nella costruzione di una società che si occupa di tutt* e non esclude nessun*, eliminando la precarietà, l’esclusione e l’emarginazione dalla vita delle persone.

Va pienamente riconosciuto il diritto alla conoscenza, all’istruzione, alla cultura, all’informazione corretta, al sapere, come fattore potente di riduzione della diseguaglianza, di cui la povertà culturale è una causa chiave.

Va realizzato un nuovo sistema di welfare universale, decentrato e depatriarcalizzato, basato sul riconoscimento della comunità degli affetti e del mutualismo solidale, sull’autogoverno collettivo dei servizi e sulla cura della casa comune.

3. Riappropriazione sociale dei beni comuni e dei servizi pubblici

Nessuna protezione è possibile se non sono garantiti i diritti fondamentali alla vita e alla qualità della stessa. Riconoscere i beni comuni naturali -a partire dall’acqua, bene essenziale alla vita sul pianeta- e i beni comuni sociali, emergenti e ad uso civico come elementi fondanti della vita e della dignità della stessa, della coesione territoriale e di una società ecologicamente e socialmente orientata, richiede la sostituzione del paradigma del pareggio di bilancio finanziario con il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere.

La tutela dei beni comuni, e dei servizi pubblici che ne garantiscono l’accesso e la fruibilità, deve prevedere un’immediata sottrazione degli stessi al mercato, una loro gestione decentrata, comunitaria e partecipativa, nonché risorse adeguate e incomprimibili.  

Occorre socializzare la produzione dei beni fondamentali, strategici ai fini dell’interesse generale: dai beni e servizi primari (i prodotti alimentari, l’acqua, l’energia, l’istruzione e la ricerca, la sanità, i servizi sociali, l’edilizia abitativa); a quelli senza l’uso dei quali una parte considerevole delle altre attività economiche non sarebbe possibile (i trasporti, l’energia, le telecomunicazioni, la fibra ottica); alle scelte d’investimento di lungo periodo di carattere scientifico, tecnologico e culturale, in grado di modificare, nel tempo e in maniera significativa, la vita materiale e spirituale della popolazione.

4. Centralità dei territori e della democrazia di prossimità

La crescita interamente basata sulla quantità e velocità dei flussi di merci, persone e capitali, sulla centralità dei mercati globali e delle produzioni intensive e sulla conseguente iperconnessione sregolata dei sistemi finanziari, produttivi e sociali, è stata il principale vettore che ha permesso al virus di diffondersi in tutto il pianeta a velocità mai viste prima, viaggiando nei corpi di manager e tecnici specializzati, così come in quelli di lavoratori dei trasporti e della logistica, e di turisti.

Ripensare l’organizzazione della società comporta la ri-localizzazione di molte attività produttive a partire dalle comunità territoriali e dalla loro cooperazione associata, che dovranno diventare il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente, socialmente ed eticamente fondata.

Le comunità sono i luoghi dove convivono umani, altri animali, territorio e paesaggio, ciascuna con la propria storia, cultura e identità insopprimibile. La pialla della globalizzazione ha provato a omologare differenze e peculiarità, producendo resistenze che sono state troppo spesso governate verso una versione chiusa ed escludente del comunitarismo. La sfida, anche culturale, è progettare il futuro come un sistema di comunità aperte, cooperanti, includenti e interdipendenti.

Questo comporta anche la ri-territorializzazione delle scelte politiche, con un ruolo essenziale affidato ai Comuni, alle città e alle comunità territoriali, quali luoghi di reale democrazia di prossimità i cui abitanti partecipano fattivamente alle decisioni collettive.

Attraverso forme di riappropriazione popolare delle istituzioni di livello nazionale ed internazionale si potrà garantire, tutelare ed affermare l’uguaglianza nei diritti e nelle relazioni fra le diverse aree dei sistemi paese, dei sistemi regionali e continentali e del sistema mondo.

5. Pace, cooperazione, accoglienza e solidarietà

La pandemia non ha rispettato nessuna delle molteplici separazioni geografiche e sociali e nessuna delle gerarchie costruite dagli esseri umani: dalle frontiere alle classi sociali, passando dal falso concetto di razza. Ha dimostrato che la vera sicurezza non si costruisce contro, e a scapito degli altri: per sentirsi al sicuro bisogna che tutt* lo siano.

Perché questo succeda, occorre che ad ogni popolazione venga riconosciuto il diritto ad un ambiente salubre, all’uguaglianza sociale, all’accesso preservativo alle risorse naturali.

Occorre porre termine ad ogni politica di dominio nelle relazioni fra i popoli, facendo cessare ogni politica coloniale, che si eserciti attraverso il dominio militare e la guerra, i trattati commerciali o di investimento, lo sfruttamento delle persone, del vivente e della casa comune. Non possiamo più accettare che i nostri livelli di consumi si reggano sullo sfruttamento delle risorse di altri Paesi e su rapporti di scambio scandalosamente ineguali, né l’esistenza di alleanze militari che hanno l’obiettivo del controllo e sfruttamento di aree strategiche e delle loro risorse.

La società della cura rifiuta l’estrattivismo perché aggredisce i popoli originari, espropria le risorse naturali comuni e moltiplica la devastazione ambientale. Per questo sostiene l’autodeterminazione dei popoli e delle comunità, un commercio equo e solidale, la cooperazione orizzontale e la custodia condivisa e corresponsabile dei beni comuni globali.

La guerra contro i migranti è ormai uno degli elementi fondanti del sistema globale attuale. Intere aree del pianeta – mari, deserti, aree di confine – sono diventati giganteschi cimiteri a cielo aperto, luoghi dove si compiono violenze e vessazioni atroci, e dove a milioni di esseri umani viene negato ogni diritto e ogni dignità.

La società della cura smantella fossati e muri e non costruisce fortezze. Rifiuta il dominio e riconosce la cooperazione fra i popoli. Affronta e supera il razzismo istituzionale e il colonialismo economico e culturale, attraverso i quali ancora oggi i poteri dominanti si relazionano alle persone fisiche, ai saperi culturali e alle risorse del pianeta.

La società della cura rifiuta ogni forma di fascismo, razzismo, sessismo, discriminazione e costruisce ponti fra le persone e le culture praticando accoglienza, diritti e solidarietà.

6. Scienza e tecnologia al servizio della vita e non della guerra

La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sono fondamentali per la costruzione di una società della cura che permetta una vita degna a tutte le persone, ma possono divenire elementi di distruzione se non sono messe al servizio della vita ma del dominio e della guerra. Indirizzi e risultati vanno ricondotti all’emancipazione delle persone e non al controllo sociale autoritario, in direzione della redistribuzione della ricchezza e non dell’accumulazione, verso la pace e la solidarietà e non in direzione della distruzione di vite, società e natura.

E’ di particolare gravità che continui la corsa al riarmo atomico e al perfezionamento dei sistemi di puntamento delle armi nucleari, mentre si allentano gli impegni internazionali per il bando al ricorso all’arma più micidiale. I saperi e le risorse di una società non possono essere indirizzati alla costruzione di armi, al mantenimento di eserciti, all’appartenenza ad alleanze basate sul dominio militare, alla partecipazione a missioni militari e a guerre, al respingimento dei migranti, alla costruzione di una realtà manipolabile e falsificabile digitalmente.

Il controllo sui Big Data, l’Intelligenza Artificiale e le infrastrutture digitali determineranno la natura delle istituzioni del futuro e le persone devono essere in grado di esercitare una sovranità digitale su tutti gli aspetti sensibili della propria esistenza. Occorre immaginare un futuro digitale democratico in cui i dati siano un’infrastruttura pubblica e un bene comune controllato dalle persone.

7. Finanza al servizio della vita e dei diritti

La pandemia ha dimostrato che per curare le persone l’Unione europea ha dovuto sospendere patto di stabilità, fiscal compact e parametri di Maastricht. Significa che questi vincoli non solo non sono necessari, ma sono contro la vita, la dignità e la cura delle persone.

La finanziarizzazione dell’economia e la mercificazione della società e della natura sono le cause della profonda diseguaglianza sociale e della drammatica devastazione ambientale.

Mettere la finanza al servizio della vita e dei diritti significa riappropriarsi della ricchezza sociale prodotta, cancellando il debito illegittimo e odioso e applicando una fiscalità fortemente progressiva, che vada a prendere le risorse laddove si trovano, nei ceti ricchi della società, nei grandi patrimoni, nei profitti delle grandi imprese.

Nessuna trasformazione ecologica e sociale sarà possibile senza fermare l’unica globalizzazione che il modello capitalistico è riuscito a realizzare compiutamente: quella dei movimenti incontrollati di merci e capitali. Un capitale privo di confini che può indirizzarsi senza vincoli dove gli conviene, determinando le scelte di politica economica e sociale degli Stati, costretti a competere tra loro, offrendo agli investitori nazionali e esteri benefici sempre più lesivi dei diritti dei propri cittadini e dell’ambiente.

Per questo bisogna socializzare il sistema bancario, trasformandolo in un servizio pubblico per risparmi, credito e investimenti, gestito territorialmente con il coinvolgimento diretto degli utenti organizzati, dei lavoratori delle banche, degli enti locali e dei settori produttivi territoriali.

Senza una nuova finanza pubblica e partecipativa, nessuna trasformazione ecologica e sociale del modello economico e produttivo sarà possibile, e le decisioni di lungo termine sulla società rimarranno appannaggio delle lobby finanziarie e delle grandi multinazionali.

Vogliamo una società che metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d’uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull’uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni.

Lotteremo tutte e tutti assieme per renderla realtà

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DIRITTO AL LAVORO, ALLA SALUTE, ALLO STUDIO E AL REDDITO

A settembre 2020, come se non fosse accaduto nulla, la scuola, tutta la scuola, presentava le stesse condizioni degli anni precedenti: non è stato ridotto il numero degli alunni per classe per garantire un serio distanziamento; non sono stati assunti i precari, che anzi sono diventati circa 200.000 tra docenti e ATA; ci sono le stesse vecchie strutture, che nel 60/70% dei casi non rispettano le normative sulla sicurezza, anche quelle precedenti alla pandemia.

Il trasporto pubblico non è stato potenziato:nei bus gli studenti sono stretti come sardine;nelle strutture sanitarie i posti Covid non solo non sono stati potenziati, ma addirittura tagliati, con premi ai dirigenti “meritevoli”.

Da marzo avevamo indicato gli interventi da attuare, e li avevamo messi al centro delle rivendicazioni delle mobilitazioni da maggio in poi. Ma il tempo a disposizione e la stessa pausa estiva con il calo dei contagi sono stati sciaguratamente sprecati.

Ciononostante, grazie all’impegno di tutta la comunità scolastica, oggi le scuole sono il luogo meno insicuro per gli studenti in confronto a tutti gli altri: il rispetto delle norme sulla sicurezza è garantito dalla vigilanza di docenti e Ata, i contagi sono tra i più tracciabili rispetto all’esterno. Chiudere le scuole aumenta il rischio del contagio, laddove gli studenti inevitabilmente si muoveranno in contesti meno controllati. Ma di fronte al previsto e prevedibile aumento dei contagi, al prossimo collasso delle strutture sanitarie e all’affollamento dei mezzi di trasporto prima alcuni presidenti di regione, poi il governo, hanno scelto di sacrificare la scuola superiore, riproponendo la devastante modalità (sia dal punto di vista relazionale che cognitivo) della Didattica a Distanza, che ha già prodotto significativi e perduranti effetti negativi sulle capacità di apprendimento degli studenti e che rischia di privare di fatto un’intera generazione del diritto allo studio.

Il DPCM prevede solo un 25% di didattica in presenza a fronte del 75% a distanza, qualora le Regioni o gli enti locali o le autorità sanitarie lo richiedano per la presenza di particolari criticità territoriali. Già ieri è stato richiesto in molte regioni con una prevedibile applicazione estesa a tutto il Paese e, d’altronde, una nota ministeriale ha lasciato un solo giorno alle scuole per organizzarsi! Alcuni presidenti regionali hanno addirittura deciso che tutti gli alunni delle superiori, e in Campania anche delle elementari e delle medie, dovranno restare a casa. Al tempo stesso, alcuni dirigenti scolastici stanno decidendo, in modo illegittimo anche rispetto allo stesso DPCM, di tenere alcune classi tutte in presenza e altre tutte con la DAD, senza neanche il 25% in presenza.

Senza vergogna, per le pesanti responsabilità politico-amministrative sue e di tutto il governo (nonché dei cd governatori regionali, corresponsabili del disastro delle strutture sanitarie e del trasporto pubblico), oggi la ministra Azzolina si erge a difesa della scuola in presenza. E’ un atteggiamento schizoide se si pensa alle sue esaltazioni della DAD durante il lockdown e al fatto che il governo, di cui fa parte, ha lasciato passare lunghi mesi senza intervenire con decisione sul fronte dei trasporti, della sanità o degli spazi, lasciando tutta la responsabilità in mano alle singole scuole e recitando oggi un gioco delle parti veramente stucchevole. E mentre si chiudono le scuole superiori, si mandano avanti i concorsi straordinari per i docenti precari, molti dei quali devono spostarsi in altre regioni (a loro spese e a loro rischio e pericolo).

Oggi, in tutto il paese comincia a manifestarsi l’insofferenza verso i provvedimenti governativi che lasceranno sul lastrico intere famiglie, e all’esterno della scuola si stanno consumando tragedie, con le quali siamo totalmente solidali, che lasciano sul campo ben più vittime, nelle categorie che non godono di nessuna protezione: chi lavora nei settori dell’educazione, dell’assistenza, della ristorazione, della ricezione alberghiera, del turismo, dello spettacolo, dello sport, e perfino dei trasporti, rischia di essere rovinato dalle nuove disposizioni di chiusura. Nonostante i problemi sociali in campo siano ben più gravi di quelli scolastici, riteniamo che non si possa sottovalutare l’importanza centrale della scuola: e perciò il vulnus della DAD non va sottovalutato, perchè colpisce soprattutto gli studenti. Perciò vogliamo la scuola in presenza e in sicurezza. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Il governo investa immediatamente su sanità, scuola e trasporti, a partire da un’assunzione straordinaria del personale necessario, reclutando una parte del precariato storico. Si investa subito (anticipando quanto arriverà dall’Unione Europea) per far sì che tali servizi pubblici essenziali possano rispondere al meglio ai problemi derivati dalla pandemia.

Per questi motivi come Cobas Scuola chiamiamo tutte/i alla mobilitazione per impedire il ritorno alla Didattica a Distanza, per difendere il diritto allo studio e quello alla salute.

COBAS – Comitati di Base della Scuola

27 ottobre 2020

LE SCUOLE NON POSSONO PAGARE PER LE INCAPACITA’ DELLE AMMINISTRAZIONI: Il diritto all’istruzione deve essere sempre garantito!

Con un’ordinanza del 15 ottobre il presidente Vincenzo De Luca ha predisposto la chiusura delle Scuole di ogni ordine e grado della regione Campania fino al 30 ottobre, facendo pagare a studenti e genitori, e in generale alla società tutta, le inefficienze e le incoerenze con cui Regione e Amministrazioni Locali stanno gestendo la pandemia, azzerando i servizi educativi per l’infanzia e costringendo persino i bambini e le bambine della scuola primaria, ma anche i ragazzi e le ragazze della scuola secondaria, alla alienante e didatticamente dannosa didattica a distanza. 

Appena si è diffusa la notizia, nel tardo pomeriggio, si è sollevata dai genitori e da tutto il mondo della Scuola un’ondata di indignazione per le motivazioni argomentate dal Presidente che avrebbe imposto questa decisione per fermare il diffondersi dei contagi Covid, mentre tutto il resto fuori dalle Scuole è aperto e sovraffollato. 

Una vera offesa all’intelligenza di tutti noi che abbiamo la certezza che la Scuola non è il covo del virus. Con la soluzione demagogica della chiusura delle scuole (mentre il tasso di positivi sulla popolazione scolastica è nettamente inferiore a quello dei positivi sull’intera popolazione della Campania), De Luca vuole nascondere la vera tragedia, quella di un sistema sanitario al collasso dopo anni di tagli e che fra pochi giorni non avrà più posti per degenti Covid.

Altre sono le cause della diffusione incontrollata dei contagi perché dallo scorso mese di marzo niente è stato fatto per evitare di trovarci oggi in una tale situazione. Nessun massiccio piano di investimenti per migliorare le strutture scolastiche, nessun recupero di strutture pubbliche dismesse per aumentare il numero delle aule e sdoppiare le classi pollaio, nessun potenziamento dei trasporti pubblici. E rispetto al trasporto pubblico, che oggi viene considerato il maggior veicolo del Covid, invece di potenziarlo, come si sarebbe dovuto fare e come da mesi stanno chiedendo i movimenti studenteschi, si è scelto di non intervenire, rinunciando, di fatto, a quelle forme di distanziamento fisico che tanto viene raccomandato per evitare contagi. Inammissibile incuria, visto il lungo periodo in cui le scuole sono state chiuse, con l’aggravante che già in estate era stato ampiamente previsto un ritorno diffuso dei contagi.

Ma il mondo della scuola non è rimasto a guardare, già la mattina successiva del venerdì , genitori, studenti e docenti si sono recati a manifestare davanti alle scuole chiuse di tante città portando banchetti e zaini e, nonostante in serata sia arrivata la notizia del mezzo passo indietro di Vincenzo De Luca che a meno di 24 ore, travolto dalle proteste, ha riaperto nidi e Scuole dell’infanzia, sabato mattina tutti/e sono tornati a manifestare.  A Napoli sotto il Palazzo della Giunta Regionale, a Salerno sotto la Prefettura e nelle piazze di tante città campane centinaia di genitori insieme a studenti e docenti hanno ribadito la necessità di riaprire immediatamente le Scuole e di attivare tutte le misure necessarie per la sicurezza e la prevenzione sanitaria.

Chiediamo che i finanziamenti attuali e quelli futuri non vengano sperperati, ma utilizzati razionalmente per:

1) ripristinare una sanità di prossimità, riaprire pronti soccorso ed ospedali; 

2) ridurre il numero di alunne/i per classe, intervenendo sull’edilizia scolastica per recuperare spazi inutilizzati e sdoppiare le classi numerose; 

3) interventi strutturali e antisismici finalizzati a mettere in sicurezza gli edifici scolastici; 

4) assumere tutti i/le docenti utili ad eliminare le classi pollaio insieme ad esperti per il supporto psicologico a studenti e famiglie; 

5) l’immediato potenziamento dei trasporti pubblici, aumentando le corse nelle ore di punta e l’istituzione di un servizio pubblico e gratuito di trasporto scolastico; 

6) l’introduzione di un vero, equo e universale reddito di quarantena che garantisca i genitori ai cui figli venisse prescritta la quarantena o l’isolamento fiduciario; 

7) garantire maggiori controlli sanitari: tamponi e test rapidi gratuiti per studenti, docenti e tutto il personale scolastico e ripristinare una vigilanza sanitaria scolastica con la dotazione di ogni scuola di un ambulatorio con medico ed infermiere scolastico.

 COBAS – Comitati di base della scuola

18 ottobre 2020


BOLOGNA

Lunedì 19 ottobre alle 17 saremo con Priorità alla scuola Emilia Romagna davanti al palazzo della Regione.
Un flash mob per ribadire al Presidente Bonaccini che la scuola non si chiude né in Campania né altrove.

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No alla chiusura delle scuole per compensare le difficoltà di trasporti e sanità.

Per  info e aggiornamenti clicca qui  LA SCUOLA NON SI CHIUDE

Un inutile e pietoso balletto governativo

Concorso straordinario subito, ma per soli titoli

Usare le GPS, dopo averle opportunamente verificate, per stabilizzare subito i precari con almeno tre anni di servizio

L’Ufficio Complicazioni Affari Semplici, sempre pronto a rendere complesso ciò che è semplice (e questa volta al servizio della ministra Azzolina), insiste nel fare un concorso in presenza, che scelleratamente allunga inutilmente i tempi, priva le scuole del personale precario appena incaricato e lo costringe a viaggiare fino alla sede dell’esame, senza nemmeno prevedere una prova suppletiva per coloro che nel frattempo, essendo in servizio, fossero in quarantena. Dopo aver concordato il rinnovo delle graduatorie per le supplenze in estate, in cambio del concorso straordinario in autunno, la maggioranza di governo adesso mette in scena un inutile e pietoso balletto per le responsabilità sul concorso straordinario.

Il concorso straordinario va fatto. Subito! Ma per soli titoli e servizi. I precari con almeno tre anni di servizio sono già lì, sono nelle Graduatorie Provinciali per le Supplenze e devono essere assunti tutti! Non si deve fare altro che controllare i titoli presentati in agosto, correggere gli errori e procedere all’assunzione di tutti/e i/le docenti con almeno tre anni di servizio presenti nelle GPS. Subito! Senza attendere la formazione di commissioni, senza attendere la valutazione delle prove, senza attendere nulla! A coloro che pensano che occorra una selezione, rispondiamo che la selezione è fasulla! Si tratta di docenti che già insegnano da almeno tre anni. Il giorno dopo la loro eventuale esclusione dal concorso torneranno in cattedra, come hanno sempre fatto in questi anni, a continuare la loro supplenza annuale. Esattamente come i vincitori della ridicola selezione. Con la differenza che i più fortunati saranno di ruolo, mentre gli altri saranno costretti a restare ancora precari.

A coloro che dicono che il concorso per soli titoli non è costituzionale rispondiamo che l’art. 97, comma terzo della Costituzione Italiana prevede: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”, pertanto non è esclusa la modalità di concorsi per soli titoli e servizi, infatti sono stati sempre banditi per tutte le P.A., scuola compresa. Non siamo più disposti ad accettare bugie. È ora di porre la scuola al centro del dibattito politico. Siamo il fanalino di coda per gli investimenti nella scuola, mentre l’Italia è prima per numero di abbandoni scolastici. La scuola si è aperta dimezzata: precari senza incarico, scuole senza insegnanti, scuole senza nuovi spazi, classi ancora pollaio, scuole ancora chiuse, tempo pieno che non c’è e chissà se ci sarà, didattica mista in molte scuole, personale ATA insufficiente e oberato di lavoro, trasporti carenti e non adeguati alle attuali condizioni epidemiologiche, confuse interpretazioni locali di confuse indicazioni nazionali sulla sicurezza e sulla prevenzione sanitaria, mancato accesso ai tamponi per tutti e veloci, alunni senza sostegno e, quindi, senza scuola.

Vogliamo maggiori investimenti nella scuola e diritto all’istruzione per tutti/e

Assumere subito, su tutti i posti vacanti e disponibili, tutti i precari con tre anni di servizio tramite le GPS

COBAS – Comitati di base della Scuola

30 settembre 2020

Illegittima la nota ministeriale su Pia e PaI

29 agosto 2020

* * *

Come è noto il Ministero ha emanato lo scorso 26 agosto una Nota (vedi qui) che non prevederebbe la retribuzione delle attività svolte dal personale docente relative al Piano di Integrazione degli Apprendimenti – PIA e al Piano di Apprendimento Individualizzato – PAI per il periodo dal 1° settembre all’inizio delle lezioni.

Come COBAS Scuola abbiamo inviato al Ministero le osservazioni che seguono contestando i punti della Nota ministeriale che – a nostro avviso – non rispettano la normativa vigente.

Invitiamo i colleghi e le colleghe che fossero coinvolti/e in queste attività di farci pervenire notizia delle modalità di programmazione (coinvolgimento o meno degli Organi collegiali), di attuazione (richiesta di disponibilità o obbligo di svolgimento) e di retribuzione (non prevista, prevista per tutte le ore o solo per quelle eccedenti l’orario cattedra).

                                                                                                                    * * *                                                                                                               

Al Ministero dell’Istruzione

all’attenzione del dott. Marco Bruschi

OGGETTO: nota sulle attività relative al piano di integrazione degli apprendimenti e al piano di apprendimento individualizzato

Premesso che

Il comma 5 dell’art. 3 (nonché il comma 1 dell’art. 4) dell’OM n. 11/2020 afferma che “per gli alunni ammessi alla classe successiva in presenza di votazioni inferiori a sei decimi […] il consiglio di classe predispone il piano di apprendimento individualizzato di cui all’articolo 6, in cui sono indicati, per ciascuna disciplina, gli obiettivi di apprendimento da conseguire nonché le specifiche strategie per il raggiungimento dei relativi livelli di apprendimento”;

L’articolo 6 della stessa OM, afferma che “per gli alunni ammessi alla classe successiva tranne che nel passaggio alla prima classe della scuola secondaria di primo grado ovvero alla prima classe della scuola secondaria di secondo grado, in presenza di valutazioni inferiori a sei decimi, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2, comma 2 del Decreto legislativo [n. 62/2017, ndr] i docenti contitolari della classe o il consiglio di classe predispongono un piano di apprendimento individualizzato in cui sono indicati, per ciascuna disciplina, gli obiettivi di apprendimento da conseguire, ai fini della proficua prosecuzione del processo di apprendimento nella classe successiva, nonché specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento. Il piano di apprendimento individualizzato è allegato al documento di valutazione finale”.

L’articolo 2, comma 2 del d.lgs. n. 62/2017 afferma chiaramente che “l’istituzione scolastica, nell’ambito dell’autonomia didattica e organizzativa, attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”;

Il comma 2 dell’art. 6 dell’OM n. 11/2020, rileva che “i docenti contitolari della classe o il consiglio di classe individuano, altresì, le attività didattiche eventualmente non svolte rispetto alle progettazioni di inizio anno e i correlati obiettivi di apprendimento e li inseriscono in una nuova progettazione finalizzata alla definizione di un piano di integrazione degli apprendimenti”.

Il comma 3 dell’art. 6 dell’OM n. 11/2020: “Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del Decreto legge [n. 22/2020, ndr], le attività relative al piano di integrazione degli apprendimenti, nonché al piano di apprendimento individualizzato, costituiscono attività didattica ordinaria e hanno inizio a decorrere dal 1° settembre 2020”.

L’art. 1, comma 2 del d.l. n. 22/2020 (come sostituito dalla l. n. 41/2020) afferma: “Le ordinanze di cui al comma 1 definiscono i criteri generali dell’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2019/2020 nel corso dell’anno scolastico successivo, a decorrere dal 1° settembre 2020, quale attività didattica ordinaria”.

L’articolo 28, comma 3, del CCNL Scuola 2007, afferma chiaramente che gli obblighi di lavoro del personale docente sono correlati e funzionali alle esigenze indicate al comma 2 che prevede: “Nel rispetto della libertà d’insegnamento, i competenti organi delle istituzioni scolastiche regolano lo svolgimento delle attività didattiche nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine possono adottare le forme di flessibilità previste dal Regolamento sulla autonomia didattica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge n. 59 del 15 marzo 1997 – e, in particolare, dell’articolo 4 dello stesso Regolamento -, tenendo conto della disciplina contrattuale”

L’articolo 28, comma 4, del CCNL Scuola 2007, specifica che tali obblighi “sono articolati in attività di insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione di insegnamento”. Pertanto, “prima dell’inizio delle lezioni, il dirigente scolastico predispone, sulla base delle eventuali proposte degli organi collegiali, il piano annuale delle attività e i conseguenti impegni del personale docente, che sono conferiti in forma scritta e che possono prevedere attività aggiuntive. Il piano, comprensivo degli impegni di lavoro, è deliberato dal collegio dei docenti nel quadro della programmazione dell’azione didattico-educativa e con la stessa procedura è modificato, nel corso dell’anno scolastico, per far fronte a nuove esigenze. Di tale piano è data informazione alle OO.SS. di cui all’art. 7”.

Tanto premesso

Si desume chiaramente dal combinato disposto dell’art. 28 CCNL Scuola, dell’art. 6 OM 11/2020, dell’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 62/2017 e dell’art. 1 comma 2 della l. n. 41/2020 che:

– è necessario un coordinamento tra l’attività del consiglio di classe (chiamato ad intervenire sulle modalità di recupero, di progettazione, miglioramento, degli studenti di riferimento) ed il collegio docenti (chiamato a deliberare il piano delle attività sulla base di quanto disposto dal consiglio di classe).

attività ordinaria significa attività obbligatoria per gli studenti che deve essere garantita dall’Istituzione scolastica, ma non costituisce un obbligo lavorativo aggiuntivo e gratuito per il personale docente, che tra l’altro sarà coinvolto in maniera fortemente differenziata. Come i corsi di recupero previsti dall’OM 92/2007 (“Le attività di recupero costituiscono parte ordinaria e permanente del piano dell’offerta formativa che ogni istituzione scolastica predispone annualmente” art. 2, comma 1, OM 92/2007), i viaggi d’istruzione, le attività relative ai PCTO (ex ASL), gli stage linguistici, ecc. anche le attività di recupero previste dall’OM n. 11/2020 sono “attività ordinarie” che l’Istituzione scolastica ha l’obbligo di organizzare, ma facoltative e retribuite per i docenti. La Nota M.I. Prot. 1494/2020, a firma del dott. Bruschi, su “Piano di integrazione degli apprendimenti e Piano di apprendimento individualizzato. Indicazioni tecnico operative” è un mero parere che non costituisce una fonte del diritto, né tantomeno un’interpretazione autentica del CCNL, che non può essere unilateralmente interpretato dall’Amministrazione, e che appare in netto contrasto con le norme del contratto di lavoro sugli obblighi del personale docente e ATA.

In primo luogo, prima dell’inizio delle lezioni il CCNL non prevede alcun obbligo di svolgimento delle 18 o 24 ore di insegnamento, per cui non ha alcun riscontro normativo la distinzione tra le attività svolte dal 1° settembre 2020 alla data di inizio delle lezioni e le attività successive: sono contrattualmente tutte attività facoltative per i docenti e da retribuire e in caso di mancata disponibilità si deve ricorrere a contratti a tempo determinato.

In secondo luogo, il comma 9 dell’art. 1 del d.l. n. 22/2020 (come modificato dalla l. n. 41/2020) prevede: “con decreto del Ministro dell’istruzione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, al termine degli esami di Stato, è riscontrata l’entità dei risparmi realizzati a valere sul predetto limite di spesa. I predetti risparmi sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati per la metà al Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e per la restante metà al recupero degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2019/2020 nel corso dell’anno scolastico 2020/2021 presso le istituzioni scolastiche”. Come è evidente, tale norma prevede, senza ulteriori specificazioni, un finanziamento per tutte le attività di recupero da svolgere nell’anno scolastico 2020/2021, che com’è noto inizia il 1° settembre 2020.

Infine, l’art. 40 del d. lgs n. 165/2001, come modificato dal c.d. decreto Madia (art. 11 del d.lgs. n. 75/2017), prevede che “la contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali” e, salvo le esplicite deroghe successive, in tali materie prevale sulla legge.

Si invitano, pertanto, le Amministrazioni scolastiche:

  • a coinvolgere gli Organi Collegiali in sede deliberante nella pianificazione, programmazione e attivazione delle attività previste dall’OM 11/2020;
  • a non imporre ai docenti le attività relative al piano di integrazione degli apprendimenti e al piano di apprendimento individualizzato;
  • a richiedere la preventiva disponibilità del personale docente a svolgere le attività relative al piano di integrazione degli apprendimenti, nonché al piano di apprendimento individualizzato;
  • a retribuire tali attività con i fondi previsti dal D.L. n. 22/2020 e eventuali e auspicabili fondi aggiuntivi del Ministero e/o tramite le risorse del FIS, previa specifica sequenza contrattuale con le RSU che rispetti il vigente CCNL che prevede 50 euro per i corsi di recupero e 35 euro per le attività aggiuntive di insegnamento.


Cobas scuola