Genova 2021: voi la malattia, noi la cura

26/06/2021

Nei giorni del ventesimo anniversario del G8, Genova tornerà ancora una volta al centro di iniziative e mobilitazioni, locali, nazionali e internazionali. La Rete Genova 2021 “Voi la malattia, noi la cura” (di cui i COBAS fanno parte), nel ventesimo anniversario del G8, promuove a Genova il 19 e il 20 luglio: una assemblea nazionale di convergenza dell’attivismo sociale e una assemblea internazionale, verso un autunno di mobilitazione nazionale per curare questo mondo malato. E fa appello alla partecipazione alla manifestazione di Piazza Alimonda il 20 luglio. Alla Rete aderiscono organizzazioni, reti e movimenti sociali di vecchia e nuova generazione; le principali campagne, lotte, vertenze e pratiche alternative del nostro paese; attivisti e attiviste, inclusi molti/e che erano parte del Consiglio dei Portavoce del GSF; animatori e animatrici del movimento altermondialista a Genova, dei movimenti, campagne, lotte e vertenze, pratiche alternative dell’oggi. Altre iniziative si terranno in tutta Italia da qui ai giorni di Genova, e dal 18 al 21 luglio si terrà anche un Forum a Palazzo Ducale promosso dalla rete “Genova 20 anni dopo: un altro mondo è necessario.” Nel suo appello per la mobilitazione del 19 e 20 luglio, la Rete Genova 2021: voi la malattia noi la cura dichiara:

“Venti anni fa, una straordinaria convergenza di idee, esperienze, culture e pratiche in Italia e in tutto il mondo alimentò una grande speranza di cambiamento globale. Già conteneva la previsione dello scenario a cui si andava incontro: l’insostenibilità della globalizzazione neoliberista e i suoi pesantissimi impatti sociali, economici e ambientali. Le crisi che anno dopo anno si sono succedute a ritmi sempre più preoccupanti ci hanno dato ragione- fino alla pandemia, che ha messo in luce tutti i limiti strutturali del sistema e i pericoli che esso porta con sé. Oggi, la necessità di una alternativa di sistema è ancora più evidente. Il potere economico finanziario, il sistema politico, i governi ci costringono da venti anni a fare le Cassandre: nessun passo è stato fatto verso quel mondo diverso rivendicato da un gigantesco movimento globale, nonostante la consapevolezza dei problemi sia ora molto più grande di allora. Ora un virus ha messo a nudo tutta la magnitudine del disastro – climatico, sociale, umano, di genere, ambientale, pandemico, sanitario. Un forte punto di riferimento anti-sistemico è oggi ancora più necessario. Davvero nessuno si salva da solo. Superare la frammentazione geografica e tematica, ricostruire convergenza a livello nazionale, europeo e globale per darsi forza a vicenda è oggi più che mai necessario.”

 Il programma di iniziative promosse dalla Rete comprende:

 ASSEMBLEA NAZIONALE, Genova 19 luglio dalle ore 14:30 alle ore 21:00 “GENOVA 2021: VOI LA MALATTIA, NOI LA CURA”.

 Insieme per:

–    fare memoria di un pezzo di storia importante dei movimenti sociali  

–    chiedere verità e giustizia, ancora negate

–    affermare il diritto al dissenso, al conflitto sociale e alla difesa della spazio civico

–    denunciare i rischi che le severe lezioni della pandemia vengano disperse

–    rifiutare il ritorno a una normalità peggiore di prima

–    impegnarsi a costruire e rendere visibile una convergenza anti-sistemica fin dall’autunno

 ASSEMBLEA INTERNAZIONALE, Genova 20 luglio dalle ore 9:30 alle ore 13:30 ASSEMBLEA INTERNAZIONALE “GENOVA 2021: VOI LA MALATTIA , NOI LA CURA”

Parteciperanno attivisti e attiviste dei Forum Sociali Mondiali, continentali, regionali e nazionali di tutto il mondo, organizzazioni e movimenti protagonisti del movimento altermondialista, attori sociali di nuova generazione protagonisti delle principali lotte e pratiche per una alternativa di sistema in tutte le regioni del pianeta.

MANIFESTAZIONE A PIAZZA ALIMONDA, Genova 20 luglio ore 15:00 promossa dal Comitato Carlo Giuliani

L’appello completo, le adesioni, le iniziative locali in tutta Italia di qui a luglio, e altre iniziative promosse a Genova nei giorni del ventesimo anniversario si trovano su genova2021.blogspot.com

Cobas Scuola

IL 25 GENNAIO CHIUDONO LE ISCRIZIONI: ORA CHIUDIAMO LE CLASSI POLLAIO!

Il 25 gennaio

Manifestazioni in decine di città. A Bologna presidio di fronte all’Ufficio scolastico regionale in Via de’ Castagnoli n.1, ore 15.30

RIDURRE IL NUMERO DI ALUNNI/E PER CLASSE

ASSUMERE IMMEDIATAMENTE I/LE PRECARI/IE DELLA SCUOLA

 La ministra Azzolina è entrata al MIUR affermando che avrebbe preso di petto la questione delle classi pollaio ed ha continuato a ribadire lo stesso concetto anche nel corso della pandemia. Queste sono le parole. E i fatti?

La ministra Azzolina è entrata al MIUR affermando che avrebbe preso di petto la questione delle classi pollaio ed ha continuato a ribadire lo stesso concetto anche nel corso della pandemia. Queste sono le parole. E i fatti?

I fatti ci dicono che nemmeno un euro è stato stanziato, né nel Recovery Plan né in Finanziaria, per la riduzione del numero di alunni/e per classe e il problema del sovraffollamento delle aule è letteralmente scomparso nelle recenti linee guida emanate dal MIUR.

Così le scuole, che stanno finendo di raccogliere le iscrizioni per il prossimo anno scolastico, procederanno con i soliti coefficienti a costruire le classi iniziali.

Il tutto come se non si fosse nel pieno di una pandemia globale.

Il tutto come se la pandemia non avesse mostrato la condizione disastrosa della scuola pubblica italiana.

I tagli che negli anni sono stati inflitti alla scuola pubblica, il cui esito è stato ulteriormente aggravato dalla crisi hanno comportato l’interruzione (o il forte depotenziamento attraverso la DAD) del diritto costituzionale all’istruzione per un’intera generazione, che ne sta pagando il prezzo, anche psicologicamente.

Rispetto a tutto questo, continuiamo a chiedere un punto di PIL per finanziare la scuola pubblica; chiediamo che i soldi pubblici, siano essi fondi europei o nazionali, non siano investiti ancora in digitale o in una fantomatica sinergia con le attività produttive, ma vengano utilizzati per una riduzione significativa del numero di alunni/e per classe e per il conseguente ampliamento dell’organico docente e ATA, unica risorsa per affrontare le problematiche di questo momento e del futuro; chiediamo che docenti e ATA vengano stabilizzati quanto prima.

Non vogliamo rientrare nella “scuola-miseria” che abbiamo conosciuto prima della pandemia: vogliamo una scuola pubblica sicura e di qualità, unico vero e reale deterrente a delle innovazioni che non sono altro che privatizzazioni mascherate. 

Il 25 gennaio alle ore 15:30, assieme a Priorità alla scuola Bologna, saremo di fronte all’Ufficio scolastico regionale in Via de’ Castagnoli n.1 per porre alle istituzioni quelle che devono essere le priorità per una scuola pubblica sicura e di qualità:

  • riduzione del numero di alunni/e per classe: massimo 20 alunni/e e 15 in presenza di alunne/i con disabilità
  • immediata assunzione dei/lle precari/ie della scuola statale
  • investimenti seri e veloci sull’edilizia scolastica
  • tracciamento periodico, capillare e diffuso all’interno delle scuole
  • introduzione immediata della figura del medico scolastico

COBAS – Comitati di base della Scuola Bologna
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RIAPERTURA DELLE SCUOLE E SICUREZZA

La ritirata del governo sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio sembra non avere più limiti: la scelta di ridurre dal 75 al 50% la percentuale di attività che si svolgeranno in presenza nelle scuole superiori è stata soppiantata, a due giorni dalla scadenza, dalla decisione di rimandare l’apertura all’11 gennaio, apertura che, a sua volta, dovrà essere confermata dopo la valutazione dei dati nel prossimo week end. Già nelle ore precedenti questa ultima delibera governativa, diverse regioni si erano mosse autonomamente e, con un effetto a catena,  avevano annunciato lo spostamento della riapertura in Febbraio. Il caos e il disorientamento regnano sovrani, il governo appare sempre più incapace di gestire la situazione e la scuola, proprio quando viene abbandonata alla deriva,  diviene terreno primario di uno straniante e improvvido conflitto politico-istituzionale: per il regolamento di conti tra le forze politiche di governo così come per l’affermazione nei fatti di una balcanizzazione del paese parallela al processo di rafforzamento dei poteri della conferenza stato-regioni.

Come se ciò non bastasse anche il mondo sindacale, attraverso raccolte di firme, tavoli di “concertazione” regionali e prese di posizione a livello nazionale,  si è mosso compattamente per chiedere di bloccare la ripresa delle lezioni in presenza in nome della salute e della sicurezza. Lo slogan “Scuole aperte in sicurezza” è divenuto un altro modo per dire “Scuole chiuse fino a quando non sarà garantita la piena sicurezza”. Fino a quando dunque?

La posizione dei Cobas della scuola su questo punto, maturata in lunghi mesi di dibattito serrato, è molto diversa, ed è stata espressa nelle assemblee e nei convegni di Dicembre. Ancora una volta siamo di fronte a politiche di gestione dell’epidemia che contraddicono la presunta volontà politica di riaprire le scuole. Nessun piano nazionale di gestione del monitoraggio scuola per scuola, della gestione dei tamponi, nessuna trasparenza sulla gestione prefettizia, nessun intervento strutturale sui trasporti, nessuna presenza del personale sanitario all’interno delle scuole, nemmeno una presa di posizione chiara e vincolante sui piani vaccinali. E’ evidente che ciò che il governo dice non è allineato con ciò che fa, ma ciò significa operare comunque una scelta chiara: mettere in cantiere la chiusura delle scuole come primo provvedimento da adottare di fronte alla crescita della curva dei contagi. Assumere il diritto all’istruzione come il primo dei diritti sacrificabili in nome della salute pubblica. Era così a Settembre e così continua ad essere.
E’ appunto questa prevedibilità e questa coerenza degli effetti dell’azione-inazione di governo che ci impone di pensare e muoverci in modo diverso sulla questione della riapertura delle scuole e della sicurezza.
Le scuole superiori non sono un luogo più insicuro di tanti altri posti di lavoro aperti (lo conferma anche l’ultimo Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità), a partire dalle stesse scuole medie, elementari e materne e risulta davvero difficilmente comprensibile perché sul piano della sicurezza chi lavora nella scuola media lo faccia in presenza e chi lavora nella scuola superiore invece no. Oppure chiediamo la chiusura di tutto, dalla materna all’università? Il piano strettamente sindacale, peraltro a tutela di una sola parte della categoria (il personale in servizio nella scuola secondaria di II grado), a noi sembra insufficiente per trovare un orientamento nel presente della scuola. La scuola è un bene pubblico primario e non un luogo privato di profitto. Non è la stessa cosa lavorare a scuola o lavorare in un’azienda privata o in un ruolo meramente impiegatizio. Il problema della Salute nella scuola deve riuscire a tenere insieme la dimensione lavorativa con quella sociale. Il danno alla salute psicofisica che sta producendo la chiusura delle scuole colpisce tutti, come avverrebbe per la chiusura di poliambulatori e ospedali, ma colpisce in primo luogo le fasce sociali più deboli e le lavoratrici e i lavoratori di altri settori che continuano a lavorare in presenza spesso senza avere garanzie di sicurezza maggiori di docenti e ATA.

Docenti e ATA che chiedono le scuole chiuse per motivi di sicurezza fruiscono quotidianamente dei servizi pubblici ma anche privati in cui altri lavoratori e altre lavoratrici garantiscono loro la possibilità di fare visite, esami del sangue, acquistare medicine o anche semplicemente di fare la spesa, mettendo in gioco i loro corpi e le loro paure personali. Perché proprio noi che lavoriamo nella scuola (e per giunta solo quelli delle scuole superiori) dovremmo essere meno motivati ad esserci e a lottare contro il deserto sociale che ci sta annichilendo tutti/e? Non avere la percezione di ciò significa accettare l’idea della scuola come un servizio pubblico superfluo, altro che essenziale. O qualcuno davvero crede ancora che la DAD sia scuola, quando perfino i suoi promotori indefessi della prima ora hanno abbandonato il campo? La scuola deve rimanere aperta perché non è più accettabile – ma in realtà non lo è mai stato – che venga ancora immolata sull’altare della vita economica e della salvaguardia delle attività produttive: è un punto per noi dirimente, anche a costo di perdere una parte di consenso sindacale nella categoria. Abbiamo visto in questi mesi le scuole chiuse e le vie dello shopping gremite, le stesse vie in cui ordinanze securitarie imponevano però il divieto di manifestazione. Dovremmo pensare che il piano abbia il fine di preservare salute e sicurezza?
La lotta per la sicurezza pensiamo si debba combattere sui luoghi di lavoro con le scuole aperte, a partire dalla richiesta di un sistema di tracciamento efficace e di servizi sanitari nelle scuole, che gestiscano in modo diretto i tamponi rapidi sul posto. Gli interventi del governo e ancor più delle regioni non sono adeguati e per questo dobbiamo continuare a batterci, ma le nostre rivendicazioni non possono giustificare la chiusura delle scuole, a meno che l’emergenza non abbia portato a chiudere anche le attività produttive. Le condizioni di totale sicurezza non esistono in nessun luogo di lavoro e per la scuola oggi questa richiesta in termini generali, e non legata a situazioni specifiche in cui si può determinare la chiusura di una classe, di un plesso o di una scuola, può solo significare il perdurare della situazione intollerabile di questi mesi e la chiusura ad oltranza di un servizio ritenuto superfluo.                                                                                

COBAS – Comitati di base della Scuola
7 gennaio 2021