Una campagna di raccolta firme per garantire l’accesso universale ai vaccini

Accogliamo l’invito alla diffusione e promozione della seguente iniziativa dei cittadini europei ICE

Car*

come sai l’Unione Europea ha concluso accordi con varie case farmaceutiche per rendere disponibili a tutti i cittadini europei i vaccini contro il Coronavirus; per raggiungere questo obiettivo i Paesi membri hanno messo a disposizione delle aziende farmaceutiche ingenti risorse di denaro pubblico. Ma, nonostante

il forte coinvolgimento economico degli stati e dell’UE, una volta conclusi i trial clinici e approvato il vaccino/farmaco, questo rimane di proprietà privata delle aziende produttrici che per vent’anni avranno il monopolio del brevetto e potranno trattare con i governi da una posizione di forza.

Numerosi ricercatori, varie personalità del mondo scientifico e della cultura, insieme a molti movimenti progressisti europei, si sono mobilitati affinché sia garantito l’accesso universale ai vaccini e ai trattamenti e affinché sui brevetti non sia possibile alcuna speculazione a favore di interessi privati, ma sia esercitato un controllo pubblico. Il Sudafrica e l’India hanno avanzato all’OMC, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la richiesta di una revisione/moratoria degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale, almeno per quanto riguarda i trattamenti riferibili al Covid; la richiesta di una discussione con procedura d’urgenza non è stata accettata e il confronto è stato rinviato ai prossimi mesi, con ben poca possibilità di successo.

Di fronte a questa situazione, un gruppo di personalità europee, ricercatori e attivisti, ha presentato un’ICE, Iniziativa dei Cittadini Europei. L’ ICE è lo strumento istituzionale attraverso il quale è possibile proporre una concreta modifica legislativa alla Commissione Europea. Una volta raggiunto 1 milione di firme, la Commissione è obbligata a prendere un’iniziativa in materia.

Il comitato internazionale che ha proposto l’ICE è composto da: Anne Delespaul, PTB, GP, Geneeskunde voor het Volk, Medecine pour le Peuple, Belgium;

Caoimhghín Ó Caoláin, Sinn Féin’s Spokesperson on Health and Children, Ireland;

Chrysanthos Georgiou, doctor and the head of the health bureau of AKEL, Cyprus; Isabel Peña-Rey, Congress Member, spokesperson Health Committee, Spain; Karim Khelfaoui, GP in Marseille, France; Michael Doubek, professor of medicine at Brno University, Czech Republic; Michel Limousin, doctor, editor-in-chief of the magazine “Santé publique et protection sociale”, France; Rosa Maria Medel Pérez, Congress Member, spokesperson Health Committee, Spain; Sara Murawski, Associate researcher with the Transnational Institute (TNI), Nederland;

Sascha Heribert Wagner, State Managing Director of Die Linke in Northern Westfalen, Germany; Vittorio Agnoletto, MD, Medicina Democratica, former Member of the European Parliament, Italy;

Qui puoi trovare il testo della iniziativa: ICE

E’ possibile firmare la petizione al link: noprofitonpandemic

Visto il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ed in particolare gli articoli 114, 118 e 168 della stessa, chiediamo alla Commissione Europea di avanzare delle proposte legislative finalizzate a:

● garantire che i diritti di proprietà intellettuale, inclusi i brevetti, non ostacolino l’accessibilità e la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il Covid-19

● garantire che la legislazione dell’UE non limiti l’utilizzo delle licenze obbligatorie, previste dagli accordi TRIPs da parte degli Stati membri;

● introdurre obblighi legali per le aziende farmaceutiche beneficiarie dei fondi pubblici UE e degli Stati Membri, di condividere la conoscenza relativa alla tecnologia sanitaria sul COVID 19, la proprietà intellettuale e i dati, in una piattaforma pubblica e accessibile;

● introdurre obblighi legali, per le aziende beneficiarie dei fondi UE/Stati Membri, in materia di trasparenza con particolare attenzione all’uso dei contributi pubblici, ai costi di produzione, nonché alle clausole di accessibilità attraverso licenze non esclusive.

In tutta l’UE è stata lanciata il 30 novembre la raccolta di firme; da tale data abbiamo un anno per raccogliere 1 milione di firme nei 27 stati dell’Unione Europea.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario costruire la più ampia convergenza possibile tra tutti coloro, realtà collettive e singoli, che ritengono fondamentale la tutela del diritto alla salute come parte integrante dei diritti umani universali.

VAI AL SITO DELL’INIZIATIVA PER FIRMARE

Successo dello sciopero COBAS Scuola e TPL, più di 10 mila in piazza in 67 città, forte monito al governo Draghi: riaprire dal 7 aprile tutte le scuole!

26 marzo 2021

Non era per nulla facile scioperare – data la soffocante situazione pandemica – nella Scuola e nel Trasporto pubblico locale, e ancor meno portare in piazza in 67 città, di cui tante in “zona rossa”, più di 10 mila persone, nella giornata di protesta promossa dai COBAS, da Priorità alla scuola e dal Coordinamento nazionale precari e sostenuta anche dalla Società della Cura e dal Forum dei movimenti per l’Acqua: ma ci siamo riusciti! E, oltre alle piazze, è andato ben meglio del prevedibile anche lo sciopero, pur se al momento è difficile conteggiare gli scioperanti della DAD. E’ la dimostrazione che fummo facili profeti quando all’avvento di Draghi, presentato come risolutore dei drammi sanitari ed economici non risolti dal governo Conte-bis, prevedemmo che a breve ci saremmo ritrovati le stesse precarietà, inefficienze e disorganizzazioni del precedente governo. Ciò che ha alimentato il nostro sciopero e le manifestazioni con la presenza di tanti lavoratori/trici, genitori, studenti, è il fatto che nessun cambiamento di rotta significativo si è visto. Sul fronte della pandemia, la sconcertante gestione della vicenda AstraZeneca ha frenato le vaccinazioni e diffuso ulteriori paure; e, insieme alle dichiarazioni che anche i vaccinati dovranno effettuare la quarantena nel caso di contatti con un “positivo” e che “non c’è sicurezza di una protezione completa rispetto alle possibili varianti del virus”, ha confermato che la vaccinazione non cancellerà la pandemia nel giro di due o tre mesi. Il che dovrebbe provocare un impegno massiccio e urgente, che non c’è, intanto per sostenere  i settori economicamente più colpiti, quelli della microimpresa, del piccolo lavoro autonomo, dell’artigianato, dello sport e dello spettacolo, del turismo e della ristorazione. E altrettanto urgente è un intervento massiccio nei tre settori-chiave della vita sociale in questa fase, scuola, sanità e trasporti, ove invece non si vedono segnali di impegni rapidi e significativi.

Particolarmente impressionante – ed è stato il motivo ricorrente delle manifestazioni odierne – è l’inerzia per quel che riguarda le scuole, chiudendo le quali, anche laddove i contagi non erano aumentati, si è di nuovo scelto la via più facile per le strutture amministrative, ma la più deleteria per studenti e famiglie, abbandonati al purgatorio della DAD. Proprio nella scuola si misura la massima distanza tra le parole e i fatti del governo Draghi, che ha imposto le chiusure sostenendo che “non c’erano alternative”. Ma, fermo restando che luoghi sicuri al 100% non ne esistono, comunque le scuole, con le protezioni possibili, con docenti ed Ata vaccinati, tamponi periodici per gli studenti, personale sanitario a disposizione, efficaci distanziamenti ecc. possono essere comunque luoghi più sicuri di tante fabbriche e uffici, o dei bus ridotti all’osso o dei supermercati, soprattutto per chi ci lavora. Insomma, chiudere le scuole non può essere presentato come un obbligo quando tutte le principali attività produttive sono aperte: si tratta invece di una scelta distruttiva tra quello che si ritiene indispensabile e quello che appare un “optional” a cui si può rinunciare. Attualmente le scuole in Europa sono aperte in Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Croazia, Finlandia , Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania; aperte nella maggioranza degli istituti in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria, Grecia, Albania: e l’Italia è la nazione che ha tenuto la scuola chiusa per più settimane (29) insieme alla Cechia, la Slovacchia e la Macedonia. Ed è ancora più preoccupante che niente si stia facendo non solo per riportare il più rapidamente in presenza piena gli studenti ma neanche per garantire che tutto ciò non si ripeta anche nel prossimo anno scolastico.

Di conseguenza lo sciopero e le manifestazioni hanno chiesto con forza innanzitutto la riapertura di tutte le scuole dal 7 aprile, con interventi urgenti per aumentarne la sicurezza (presìdi sanitari per i tamponi periodici a studenti, docenti ed Ata; vaccinazione per tutto il personale che fa richiesta), ma anche rapide iniziative per garantire la massima regolarità del prossimo anno scolastico, utilizzando almeno la gran parte dei 20 miliardi di euro previsti dal Recovery Plan per la scuola per ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili; per intervenire nell’edilizia scolastica, aumentando significativamente il numero e la qualità delle aule disponibili; e conseguentemente, per garantire la continuità didattica e la sicurezza, aumentando il numero di docenti ed Ata, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi;

Ma lo sciopero e le manifestazioni di oggi hanno coinvolto anche il TPL (Trasporto pubblico locale), l’altro settore-chiave, insieme alla Sanità, per la miglior ripresa dell’attività sociale, produttiva e culturale e per la normalizzazione della vita quotidiana. L’interconnessione tra la messa in sicurezza della scuola, e dei luoghi di lavoro in genere, e quella dei bus e metro cittadini è ovviamente lampante: con pochissimi mezzi pubblici sovraffollati, con frequenza limitatissima, non solo la salute dei lavoratori del TPL è ad alto rischio, ma la diffusione del contagio si moltiplica: eppure da un anno nessun potenziamento del TPL è avvenuto in nessuna della città. Dunque, come COBAS abbiamo effettuato oggi anche lo sciopero del TPL, con risultati davvero incoraggianti e buona partecipazione alle manifestazioni insieme alla scuola, pur se costretti dalla Commissione di garanzia a ridurlo dall’intera giornata a quattro ore. Per tale settore abbiamo chiesto lo stop alle privatizzazioni e esternalizzazioni delle aziende, attivandone la ri-pubblicizzazione; la fine delle gare per l’affidamento del trasporto, passando all’affidamento diretto; il potenziamento mediante assunzioni di personale viaggiante e rinnovo/aumento dei mezzi.

Piero Bernocchi   portavoce dei COBAS – Confederazione dei Comitati di base

Album foto manifestazione a Bologna

26 marzo 2021 Sciopero nazionale della scuola

Manifestazione a Bologna P.zza Nettuno ore 10.00

Durante la pandemia sono tragicamente emersi i problemi che affliggono la scuola da molto tempo: precarietà, inefficienze e disorganizzazioni, conseguenze del processo di aziendalizzazione avviato negli anni Novanta. Pessimi segnali dal nuovo governo ci arrivano sulle intenzioni di proseguire su questa strada imponendoci la formazione obbligatoria sulla DAD, la reintroduzione dei meccanismi premiali, l’allungamento del calendario scolastico e l’ingresso del settore privato nelle scuole attraverso i patti di comunità.

Per questo è urgente porre all’ordine del giorno una visione diversa ed alternativa alla gestione pre-Covid: oggi i soldi ci sono e sono molti, non possiamo permettere che i fondi previsti per la scuola nel Recovery Plan siano destinati in via quasi esclusiva alla digitalizzazione e al legame con l’impresa, perché ciò rischia di allontanarla definitivamente dal modello di scuola pubblica previsto dalla Costituzione, che dovrebbe puntare alla formazione del cittadino dotato di strumenti cognitivi e spirito critico, e di trasformarla in una mera agenzia per l’addestramento al lavoro.   Occorre urgentemente invertire la rotta, con un intervento di risarcimento per i tagli decennali subiti e per un rilancio che poggi su tre obiettivi strutturali che oggi non sono solo possibili, ma anche improrogabili: 
1) ridurre a 20 il numero massimo di alunn* per classe e a 15 in presenza di alunn* diversamente abili;
2) aumentare gli organici e assumere tutte le precarie e tutti i precari con concorsi per soli titoli, a partire da* docenti con 3 anni scolastici di servizio e dagli Ata con 24 mesi;
3) intervenire massicciamente nell’edilizia scolastica per avere spazi idonei ad una scuola in presenza e in sicurezza.  

Tre obiettivi su cui è possibile costruire un’ampia convergenza dentro e fuori dalle scuole. Il 26 Marzo è uno sciopero non solo sindacale ma anche politico e sociale per un diverso modello di scuola. I COBAS hanno condiviso questo percorso a livello nazionale con il movimento di Priorità alla scuola e con il Coordinamento nazionale dei precari scuola per promuovere nel maggior numero di città mobilitazioni che coinvolgano tutto il popolo della scuola pubblica: docenti, Ata, studenti, genitori e, in generale, cittadini democratici.

A Bologna saremo in piazza con il Coordinamento precari/ie scuola di Bologna e Modena

e con Pas, l’appuntamento è per tutt* in Piazza Nettuno alle ore 10.00

Ricordiamo che ai sensi del DPCM del 2 marzo (art. 34 e 39) e circ. del Ministero dell’Interno del 6 marzo è consentito lo spostamento per partecipare a manifestazioni.

26 MARZO SCIOPERO NAZIONALE SCUOLA E TRASPORTO PUBBLICO LOCALE CON MANIFESTAZIONI CITTADINE (a Bologna ore 10 in p.zza Nettuno)

Cobas Scuola

18/03/2021

Siamo stati facili profeti quando, all’avvento in pompa magna del “sovrano” Draghi, presentato come il risolutore di tutti i drammi sanitari ed economici non risolti dal precedente governo Conte-bis, prevedemmo che la sua “luna di miele” sarebbe durata poco e che a breve ci saremmo ritrovati, malgrado il Recovery Plan metta a disposizione ingenti risorse, di fronte alle stesse precarietà, inefficienze e disorganizzazioni del precedente governo.

A tutt’oggi nessun cambiamento di rotta significativo si è visto. Sul fronte della pandemia, la sconcertante gestione europea nella vicenda AstraZeneca sta non solo frenando le vaccinazioni ma diffondendo paure che non scompariranno presto; e, insieme all’annuncio che anche i vaccinati dovranno effettuare la quarantena nel caso di contatti con un “positivo” perché “non c’è sicurezza di una protezione completa rispetto alle possibili varianti del virus”, conferma che il tentativo di risolvere tutti i problemi con la vaccinazione di massa non porterà comunque alla risoluzione della pandemia nel giro di pochi mesi. Il ché dovrebbe provocare un impegno massiccio e urgente, che non c’è, intanto per sostenere  i settori economicamente più colpiti, quelli della microimpresa, del piccolo lavoro autonomo, dell’artigianato, dello sport e dello spettacolo, del turismo e della ristorazione. E altrettanto urgente è un intervento massiccio nei tre settori-chiave della vita sociale in questa fase, scuola, sanità e trasporti, ove invece non si vede il minimo accenno a impegni rapidi e significativi.

Particolarmente impressionante è l’inerzia per quel che riguarda le scuole, chiudendo le quali in gran parte delle province, anche laddove i contagi non erano aumentati, si è di nuovo scelto la via più facile per le strutture amministrative, ma la più deleteria per studenti, soprattutto i più piccoli, e famiglie, abbandonati al purgatorio della DAD. Proprio nella scuola stiamo misurando la massima distanza tra le parole e i fatti di questo governo, che ha imposto le chiusure sostenendo che “non c’erano alternative”. Ma, fermo restando che luoghi del tutto sicuri oggi non ne esistono, comunque le scuole, con le protezioni possibili, con docenti ed Ata vaccinati, controlli permanenti, personale sanitario a disposizione, efficaci distanziamenti ecc. sarebbero comunque luoghi più sicuri di tante fabbriche e uffici, o dei bus ridotti all’osso o dei supermercati, soprattutto per chi ci lavora. Insomma, chiudere le scuole potrebbe essere presentato come un obbligo se si chiudesse davvero tutto. Ma quando invece tutte le principali attività produttive sono aperte, si tratta di una scelta: la scelta tra quello che si ritiene indispensabile e quello che appare un “optional” a cui si può rinunciare. Questa settimana le scuole in Europa sono totalmente aperte in Francia (il ministro dell’Istruzione Jean Michel Blanquer ha detto: “la scuola va chiusa solo quando avremo provato tutto il resto e non sarà risultato abbastanza”; insomma il whatever it takes applicato alla scuola), Spagna, Svizzera, Austria, Croazia, Finlandia , Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania; aperte nella maggioranza degli istituti in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria, Grecia, Albania: e l’Italia è la nazione che ha tenuto la scuola chiusa per più settimane (29) insieme alla Cechia, la Slovacchia e la Macedonia. Ed è ancora più preoccupante che niente si stia facendo non solo per riportare il più rapidamente in presenza piena gli studenti ma neanche per garantire che tutto ciò non si ripeta anche nel prossimo anno scolastico. Per tutte queste ragioni, pur consapevoli delle difficoltà in questo periodo,  confermiamo, insieme a Priorità alla Scuola e al Coordinamento nazionale precari scuola, lo sciopero nazionale della scuola del 26 marzo, affinché almeno la gran parte dei 20 miliardi di euro già previsti dal Recovery Plan per la scuola siano destinati a ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili; a garantire la continuità didattica e la sicurezza, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi; ad intervenire massicciamente nell’edilizia scolastica per avere spazi idonei ad una scuola in presenza e in sicurezza.

E nulla è stato fatto neanche nell’altro settore-chiave, insieme alla Sanità, e cioè il Trasporto pubblico locale (TPL). Perciò, abbiamo convocato come COBAS per il 26 pure lo sciopero del TPL, anche se la Commissione di garanzia ha ridotto il nostro sciopero dell’intera giornata a quattro ore. Per tale settore chiediamo lo stop alle privatizzazioni e esternalizzazioni delle aziende, attivandone la ri-pubblicizzazione; la fine delle gare per l’affidamento del trasporto, passando all’affidamento diretto; il potenziamento mediante assunzioni di personale viaggiante e rinnovo/aumento dei mezzi. Nella giornata del 26 i COBAS della scuola e del TPL manifesteranno, insieme a Priorità alla Scuola e al Coordinamento Nazionale Precari Scuola, a Roma (davanti al Parlamento, P. Montecitorio, ore 10), Bologna, Lucca, Firenze, Pisa, Milano, Genova, Catania, Palermo, Massa, La Spezia, Trieste, Padova, Venezia, Reggio Emilia, Pistoia, Ancona, Perugia, Terni, Napoli, Salerno, Bari, Potenza e in varie altre città che verranno comunicate entro fine  settimana. La partecipazione a manifestazioni autorizza spostamenti, anche fuori dal proprio Comune e Provincia nel caso non ve ne siano nei propri.

Piero Bernocchi   portavoce COBAS – Confederazione dei Comitati di base

18 marzo 2021

CESP-COBAS: alcune linee-guida sulle tematiche ambientali

Cobas Scuola

15/03/2021 

Il prossimo 19 marzo sarà di scena la nuova mobilitazione internazionale promossa da Friday for Future;  “i governi continuano a non mettere in pratica le azioni necessarie a contrastare la crisi climatica, e la salute, l’istruzione, sono lasciate da parte per i profitti di pochi” questo affermano, tra l’altro, nei loro comunicati denunciando anche come “l’Italia continua a erogare sussidi ai combustibili fossili”.

Come è del tutto ovvio, tali mobilitazioni esplicitamente giovanili, trovano nella scuola il punto cardine di aggregazione e organizzazione e quindi devono coinvolgerci (e ci coinvolgono) come COBAS Scuola e come CESP (Centro Studi Scuola pubblica), la struttura culturale e sociale dei COBAS. In particolare il CESP, nella sua veste doppia di Centro studi ed ente di formazione riconosciuto, deve avere un ruolo centrale in relazione all’informazione e alla formazione relative alle tematiche ambientali in genere, di cui quelle climatiche rappresentano uno snodo centrale, seppur non esaustivo di tutti gli argomenti. Sintetizziamo le linee guida della nostra prospettiva sui problemi ambientali.

1.  Qualsiasi azione di contrasto alla crisi climatica e ambientale non può prescindere da una forte e radicale critica al modello economico e di relazioni produttive dominante. Deve essere chiaro che non è neppure ipotizzabile una uscita dalla crisi ambientale che non preveda un cambio drastico nell’organizzazione sociale, economica e produttiva attuale ed una uscita dal cosiddetto “mercato” e dalla logica del profitto.

2. Occorre diffondere la consapevolezza che il nostro pianeta è un sistema chiuso, finito; di conseguenza il mito della crescita infinita risulta essere una follia. Si deve passare da una idea di sviluppo lineare senza limiti ad un concetto di sviluppo ed economia circolare, in particolare si deve uscire dalla logica che vede sviluppo e crescita come due concetti equivalenti.

3. E’ necessario fare chiarezza rispetto all’impostazione complessiva della tematica ambientale. Esiste una visione ambientale che sembra scaricare sui singoli individui il peso e la responsabilità di quanto accade, con una particolare enfasi su una sorta di politically correct ambientale, risultando sostanzialmente assolutoria nei confronti dell’organizzazione sociale. Noi riteniamo che alcuni comportamenti individuali [come il riciclaggio dei rifiuti, i risparmi energetici e di risorse, il rispetto individuale dell’ambiente] siano sì importanti; ma che il maggior onere delle responsabilità comunque rimanga in carico ai macrosistemi industriali e dalle politiche nazionali e transnazionali. Va bene diffondere la “buone pratiche”, ma senza dimenticare la necessità imprescindibile di un cambio di paradigma di sviluppo e di società a livello generale.

4.  Intendiamo lavorare per sviluppare la “coscienza ecologica” delle persone, ma nell’ambito del quadro delineato nei punti precedenti. Il nostro approccio deve essere integrato collegando l’impostazione scientifica dei “limiti dello sviluppo” con quelli che si potrebbe definire come “i limiti strutturali del capitalismo”; mettendo in stretta relazione gli aspetti ambientali propriamente detti con quelli sociali, stabilendo senza dubbi che non vi può essere una “giustizia climatica” in assenza di una “giustizia sociale”.

5.  Tutto quanto sopra deve essere sviluppato rifiutando una tendenza al “catastrofismo” che, lungi dal creare coscienza diffusa, rischia al contrario di rinforzare l’assuefazione. Gli ultimi decenni hanno dimostrato che il gridare in maniera inconsulta alla catastrofe imminente, senza peraltro cogliere i veri nessi esistenti tra i diversi fattori, non ha smosso nulla e non ha fatto avanzare il movimento ecologista globale.

Queste sono, in estrema sintesi, le linee di attività che vorremmo sviluppare non solo all’interno delle scuole, ma nell’intera società. Lo faremo cercando connessioni e sinergie con tutte le strutture comitati ambientalisti con cui verremo in contatto; lo faremo soprattutto partendo dalle scuole dove ci proponiamo di sviluppare, utilizzando il CESP, convegni e seminari di formazione diretti sia al corpo docente che al corpo studentesco.

Alessandro Palmi   CESP Ambiente

Assemblee sindacali Scuola verso lo Sciopero 26M

I Cobas – Comitati di Base della Scuola indicono le seguenti assemblee per tutto il personale della scuola:

Martedì 16 marzo 17:00-19:00 in particolare dedicata al personale precario https://global.gotomeeting.com/join/675851709 

Mercoledì 17 marzo 17:00-19:00 in particolare dedicata al personale delle Medie https://global.gotomeeting.com/join/832182157

Giovedì 18 marzo 17:00-19:00 in particolare dedicata al personale di Primaria e Infanzia https://global.gotomeeting.com/join/832182157

Venerdì 19 marzo 17:00-19:00 in particolare dedicata al personale delle Superiori https://global.gotomeeting.com/join/248898077


Scarica i voolantini delle Assemblee assemblea Istituti comprensivi .pdf

LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO E CENSURA AI TEMPI DELLA DAD

Comunicato stampa – Cobas Scuola Bologna

A scuola, forse, non ci si dovrebbe servire di un Bignami.

Il clamore suscitato da una lezione ed un esercizio in classe in cui è stata coinvolta una nota canzone di Bello Figo sembra decisamente immotivato: se ne è parlato sui giornali locali, è stato coinvolto l’Ufficio scolastico provinciale, l’On. Bignami ha addirittura rivolto un’interpellanza parlamentare al Ministro Bianchi. Si è parlato di cattive influenze sui ragazzi, dell’assenza di un contesto nell’attività didattica, di pessima qualità dei contenuti proposti. Ce n’è veramente motivo o forse dobbiamo scavare per cogliere le vere ragioni di una così grande mobilitazione?

La vicenda è stata presentata come se l’ascolto della canzone fosse frutto di un’improvvisazione della docente, come se ci fosse un intento un po’ naif di fondo, senza alcun tipo di spirito critico. Noi sappiamo che è esattamente il contrario, perché conosciamo la collega e la sua lunga esperienza di docente. Non è qui il punto però: si tratta infatti dell’ennesima occasione in cui si cerca di far passare un’insegnante come una sprovveduta, mettendo in discussione la professionalità e l’autonomia di noi docenti. È un gioco facile del resto: basta estrapolare un’attività dal suo contesto per avere questo effetto. Un’operazione facile in un momento in cui le lezioni sono a portata d’orecchio di chiunque passi.

Come è stato possibile che un’ora di italiano in DAD delle Aldrovandi Rubbiani si sia trasformata in un avviso all’Ufficio scolastico, in diversi articoli e oggi in un’interpellanza parlamentare? Semplice: in questo periodo in cui la didattica si sviluppa su piattaforme digitali, microfoni e videocamere è molto facile prestare orecchio a quello che si svolge nelle ore di lezione, anche se lo spazio della classe dovrebbe restare, anche in modalità digitale, un luogo sicuro non solo per chi insegna, ma soprattutto per le e gli studenti. L’aula non è un qualcosa che rinchiude, anzi: lo stare a scuola permette a ragazze e ragazzi di trovare uno spazio di confronto, di discussione e quindi di crescita reso sicuro dalla presenza di insegnanti. Quest’area di libertà viene loro garantita oggi? La serenità di parlare e di esprimersi liberamente è messa a rischio dal fatto che ci potrebbe essere qualcuno di non identificato all’ascolto. In maniera chiara lo sottolineano le colleghe e i colleghi della nostra compagna

«E’ anche per questo che lo spazio della classe e della scuola può essere liberatorio, perché eccede i confini della famiglia, dei suoi valori e delle sue prescrizioni, permettendo a ragazze e ragazzi di incontrare il mondo esterno nella sua complessità e di formarsi una propria autonoma identità sociale. Questo spazio deve essere preservato a tutti i costi nella sua autonomia e protetto da intrusioni esterne dei genitori». 

E poi: come mai abbiamo potuto leggere di quest’ora di lezione su “Il Resto del Carlino”? Perché una docente si è trovata a dover parlare delle sue scelte didattiche ed educative ad un giornalista?

Se il clamore sulla tanto discussa ora di lezione è stato sollevato da una o più famiglie che hanno ritenuto poco opportuno un intervento didattico dobbiamo immaginare che questa sia stata l’extrema ratio di fronte al muro sollevato da una docente? L’incontro a scuola in presenza della preside non è evidentemente servito ad aprire un dialogo con la genitrice che non ha preso in alcuna considerazione le motivazioni didattiche addotte, preferendo rivolgersi “altrove”. Forse, dall’alto della sua posizione di parte – secondo lei – offesa, si sarebbe resa disponibile al dialogo solo e soltanto se avesse ricevuto delle scuse, ovvero se la nostra collega avesse chinato la testa e rinunciato alle sue posizioni pedagogiche-relazionali. Un passaggio fondamentale questo, di cui nei successivi passaggi sui media e oggi in Parlamento si è persa ogni traccia. Perché? Si è deteriorata fino a questo punto l’importanza data al dialogo con le famiglie o dietro a questo “scandalo bolognese” c’è qualcuno che ha cercato di approfittare di questa situazione per ottenere visibilità sulle spalle di una collega?

Veniamo poi ad un punto che fino ad ora abbiamo lasciato da parte ma che invece per noi, che facciamo scuola davvero giorno per giorno è in realtà centrale: la didattica e la relazione educativa che costruiamo con le e gli studenti.

Tra le critiche mosse alla scuola una delle più frequenti è quella di essere slegata dalla realtà, non attenta al mondo in cui vivono i ragazzi e le ragazze e, soprattutto per quanto riguarda le materie umanistiche, inutile. Quella situazione che qualcuno- molto probabilmente interessato- ha voluto mettere in discussione è invece un esempio, se mai ci fosse bisogno di spiegarlo, di quella che potrebbe essere una modalità “da manuale”di condurre una lezione: una proposta didattica che coinvolge attivamente dei ragazzi e delle ragazze all’interno della lezione su tematiche che possono essere pienamente considerate di cittadinanza; nel momento in cui la docente coglie qualcosa che possa risultare offensivo per lei stessa o per qualche studente della classe sospende l’attività non in una modalità censoria bensì stimolandoli alla riflessone e all’esercizio attivo delle proprie capacità critiche, invitando infine ad applicare alcuni strumenti che possono essere figlie della disciplina- l’analisi delle produzione testuali, l’uso dell’argomentazione e l’organizzazione del proprio punto di vista- ad un qualcosa di reale e che appartiene alla vita di tutti i giorni, proprio quella che si trova fuori dalle ore di lezione e che dal ministero ci invitano a tenere come banco di prova. E allora, il problema dove si dovrebbe trovare?

C’è un altro aspetto infatti che va considerato e che ci sembra importante sottolineare anche in questa situazione in cui sono evidenti i vantaggi politici che qualcuno sta ricavando da tutto questo: il rapporto che alcune famiglie ritengono di poter avere con i/le docenti e l’istituzione scuola. Dal loro punto di vista, sollevando questo polverone, i genitori in questioni hanno voluto evidentemente palesare l’insoddisfazione per un servizio che non ritenevano adeguato, naturalmente il tutto condito con una logica molto alla moda del “te la faccio pagare”. È questo ciò cui si sono ridotti la scuola e l’insegnamento? Evidentemente anni di aziendalizzazione dell’istruzione e di immiserimento della scuola hanno portato alla percezione dell’insegnantecome una figura completamente svuotata di ogni autonomia critica e culturale di cui ci si può lamentare qualora non ci piaccia. Così reagiscono i clienti insoddisfatti quando pubblicano una recensione negativa di un ristorante sui social se non hanno trovato il servizio all’altezza. Oggi lo è una supposta attività offensiva, un domani, neanche troppo lontano, potrebbe esserlo qualunque nostro tipo di scelta. La costruzione di un rapporto scuola-comunità incentrata sull’ottica dell’erogazione di un servizio non può che aver questo come risultato. E a conti fatti, si finisce per erodere il principio cardine della libertà di insegnamento previsto dalla Costituzione senza intaccarlo direttamente. Un danno questo che non riguarda solo chi insegna ma soprattutto gli studenti e le studentesse che finiscono per perdere delle occasioni preziose, molto rare nella società di oggi, di potersi confrontare in maniera critica, libera e sicura e di maturare quindi una loro opinione.

Ci si augura che in questa occasione, a differenza di quello che è successo in altre situazioni come quella molto nota della collega di Palermo Rosa Maria Dell’Aria, l’Ufficio scolastico non si presti a questi giochi che nulla hanno a che fare con il benessere di ragazzi e ragazze, probabilmente soddisfatti e tranquilli di avere una docente in gamba. Dopo la notizia che l’operazione di sciacallaggio politico ai danni della scuola è giunta perfino al livello dell’interpellanza parlamentare per mano dell’onorevole Bignami è la scuola nel suo insieme, le docenti e i docenti di ogni plesso scolastico che sono chiamati a rispondere sulla scia di quanto hanno fatto colleghe e colleghi dell’Istituto Aldrovandi.

INVITIAMO PER QUESTO TUTTI A DISCUTERE IN CLASSE L’EPISODIO INCRIMINATO, DANDO ANCORA UNA VOLTA VOCE AGLI STUDENTI E ALLE STUDENTI AFFINCHÈ ANCHE DA UN EPISODIO PER MOLTI ASPETTI SQUALLIDO COME QUESTO POSSA NASCERE QUALCOSA DI POSITIVO E COSTRUTTIVO A PARTIRE DAL LIBERO CONFRONTO.

PERCHÉ È LA LORO LA VOCE CHE SI VUOLE SPEGNERE, INSIEME ALLA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO, NON QUELLA DI BELLO FIGO.

10/03/2021

COBAS SCUOLA BOLOGNA

PER LA STABILIZZAZIONE DEL PERSONALE ATA E DOCENTE PRECARIO IL 26 MARZO SCIOPERIAMO PER UN NETTO CAMBIO DI ROTTA NELLE POLITICHE SCOLASTICHE

Cobas Scuola

09/03/2021 

Il precariato del personale docente e ATA ha raggiunto dimensioni insostenibili e la pandemia ne ha messo ulteriormente in luce l’assurdità e l’ingiustizia.

In una delle prime esternazioni da titolare del MI, il ministro Bianchi, parlando del sistema di reclutamento, ha sottolineato la necessità di realizzare operazioni strutturali e di “uscire dalle azioni congiunturali e dalla continua emergenza”(cfr. qui). Siamo d’accordo, ma per realizzare questo obiettivo occorre un vero e proprio cambio di rotta rispetto alla politica scolastica di tagli, risparmi e razionalizzazioni che degli ultimi trent’anni. Occorre investire ingenti risorse per ampliare gli organici e stabilizzare ATA e docenti, usando a questo scopo anche una parte cospicua dei fondi del Recovery Plan.

Per tutti

Innanzitutto, è necessario confermare anche per i prossimi anni i cosiddetti “posti covid”, ma dopo averli trasformarti in normali posti inseriti in modo strutturale negli organici del personale docente e ATA.

Inoltre, occorre cancellare la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto o in deroga e assumere a tempo indeterminato su tutti i posti disponibili.

Per il personale ATA

La scuola ha bisogno di recuperare i tagli di personale ATA dei decenni passati e tutt* coloro che hanno raggiunto i 24 mesi di servizio devono essere stabilizzat* dal 1° settembre.

Per tutti i profili occorre rideterminare i parametri di calcolo degli organici che devono tenere conto non solo del numero di studenti, ma, per i CS, anche di spazi (palestre, uffici, laboratori) e di ordine/grado della scuola; per gli AA, dell’aumento di complessità derivante dall’autonomia scolastica. Il numero dei plessi, inoltre, deve determinare un aumento d’organico più significativo rispetto a quello attualmente previsto.

Per i CS occorre tenere conto della presenza di lavoratori con mansioni ridotte.

Infine, occorre assumere assistenti tecnici di area informatica in tutte le scuole, anche dove non previsto dall’organico, per far fronte alle nuove esigenze di connessione. 

Per i docenti

Stando ai dati recentemente forniti dallo stesso ministro Bianchi, quest’anno le supplenze annuali hanno raggiunto quota 213.000; di queste, quasi la metà sono su posti di sostegno (cfr. qui). Considerando i pensionamenti previsti, a settembre potrebbero superare quota 250.000. 

Per porre un freno a questa deriva, è innanzitutto necessario che, dal 1° settembre 2021, oltre ai/alle docenti presenti nelle graduatorie valide per l’assunzione a tempo indeterminato, siano stabilizzat*, attraverso un concorso per soli titoli e servizi, tutt* i/le docenti precari/ie con 3 anni scolastici di servizio, compres* coloro che avranno maturato tale requisito al termine di quest’anno scolastico, nonché tutt* gli/le specializzat* sul sostegno. Subito dopo il MI dovrà fare in modo che tutt* i/le docenti che ne dovessero risultare sprovvist* all’atto dell’assunzione possano conseguire l’abilitazione o la specializzazione nel corso del prossimo anno scolastico.

Parallelamente è necessario fare un passo indietro rispetto alla decisione di abolire il sistema del “doppio canale” non appena saranno definitivamente esaurite le Gae (legge Finanziaria del 2007). Il sistema del “doppio canale”, infatti, è l’unico in grado di riconoscere, in modo strutturale, da un lato il diritto all’assunzione a tempo indeterminato a chi della scuola garantisce ogni anno il funzionamento con il suo lavoro da precari*, dall’altro la possibilità di entrare subito nella scuola in modo stabile a chi, magari appena laureat*, vi si avvicina per la prima volta. (cfr. qui)

Per questi motivi invitiamo il personale ATA e docente, precario e non, a partecipare allo sciopero del 26 marzo e alle manifestazioni che si terranno in molte città insieme agli studenti e alle famiglie.

Giuseppe Follino e Edoardo Recchi – Esecutivo Nazionale dei COBAS – Comitati di Base della Scuola

26 marzo sciopero nazionale della scuola con manifestazioni locali

Il nostro Recovery Plan: riduzione alunni/e per classe; aumento organici e assunzione precari/e; massicci investimenti per l’edilizia scolastica

Le rivendicazioni sono le stesse degli anni dell’austerità, ma oggi non sono più gli anni dei tagli, la politica economica ha cambiato segno: la spesa pubblica aumenta in deficit e si rendono disponibili ingenti risorse. Il conflitto politico che si apre è sulla destinazione di queste risorse, in cui Scuola, Sanità e Trasporti saranno capitoli di spesa decisivi. Per questo è urgente porre all’ordine del giorno una visione diversa ed alternativa alla gestione pre-Covid: durante la pandemia sono infatti tragicamente emerse precarietà, inefficienze e disorganizzazioni, conseguenze delle privatizzazioni e del progressivo smantellamento dello Stato sociale…

Per quanto riguarda la Scuola, le destinazioni principali dei 20 mld di euro previsti dal Recovery Plan, che il nuovo governo si accinge a (ri)scrivere, rischiano di allontanarci ancora di più dal modello di scuola pubblica previsto dalla Costituzione, che dovrebbe puntare alla formazione del cittadino dotato di strumenti cognitivi e spirito critico. I fondi per la digitalizzazione con l’adozione acritica delle nuove tecnologie implicano il rischio della trasformazione dei docenti in meri facilitatori di un processo di apprendimento standardizzato gestito dalle multinazionali del web; i fondi per la ricerca e l’impresa rischiano trasformare la scuola in un’agenzia per l’addestramento al lavoro. Occorre, invece, urgentemente invertire la rotta, con un intervento di risarcimento per i tagli decennali subiti e per un rilancio della scuola pubblica che deve partire dalla drammatica constatazione del degrado in cui versa. 

Tre obiettivi strutturali sono oggi possibili, ma anche improrogabili: 

1) ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili; 
2) garantire la continuità didattica e la sicurezza, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi; 
3) intervenire massicciamente nell’edilizia scolastica per avere spazi idonei ad una scuola in presenza e in sicurezza.

Tre obiettivi su cui puntiamo a costruire un’ampia convergenza dentro e fuori dalle scuole. Il 26 Marzo è uno sciopero non solo sindacale ma anche politico e sociale per un diverso modello di scuola. I COBAS hanno condiviso questo percorso con il movimento di Priorità alla scuola e con il Coordinamento nazionale dei precari scuola per promuovere nel maggior numero di città mobilitazioni che coinvolgano tutto il popolo della scuola pubblica: docenti, Ata, studenti, genitori e, in generale, cittadini democratici. Ma è anche una protesta contro l’ulteriore riduzione del diritto di sciopero imposta dal recente accordo tra governo e Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda.

In questi giorni sembra di essere di nuovo al punto di partenza, con la scuola che è sempre il primo bene sacrificabile per contenere la diffusione del contagio, indipendentemente da una valutazione del suo ruolo specifico nella riproduzione e diffusione del virus. È la logica dell’emergenza infinita che continua a produrre interventi improvvisati e contraddittori in un gioco delle parti tra governo centrale e presidenti regionali. Si chiudono le scuole di ogni ordine e grado per mantenere aperte le attività economiche: da un lato si dice che la situazione è molto grave e bisogna intervenire subito chiudendo un “servizio essenziale”, dall’altro che la situazione non è cosi grave e si possono tenere aperte le attività commerciali e produttive. La gestione “regionalizzata” della Sanità e della Scuola ha evidenziato quanto oggi siano assurdi, anche sul piano dell’efficacia degli interventi, tutti i progetti di Autonomia regionale differenziata, di cui chiediamo il ritiro. Salvo lockdown generalizzati a tutte le attività, va garantita la scuola in presenza almeno al 50% alle superiori e totale negli altri ordini di scuola.

Esecutivo nazionale dei COBAS – Comitati di base della scuola

2 marzo 2021

Nuovo PEI, vecchie abitudini. Tagli, burocrazia e nostalgia delle classi differenziali

Risale agli ultimi giorni del 2020 la pubblicazione delle Linee guida al nuovo PEI, il Piano educativo individualizzato per le/gli studenti con disabilità, inserite all’interno di un voluminoso pacchetto di prescrizioni che comprende: un decreto interministeriale Istruzione-Finanze, una nota firmata Max Bruschi, 4 modelli PEI e 2 tabelle per il calcolo delle risorse.

Si tratta dell’ultimo fondamentale passaggio di una vera e propria riforma del sostegno, avviata nel 2015 da alcuni articoli della “buonascuola” renziana e attuata in parte dalla contrastata pubblicazione di altri due decreti legislativi (66/2017e96/2019) che mettevano pesantemente in discussione l’impianto della legge 104.

Il PEI rappresenta un insostituibile documento di riferimento per lo studente con disabilità e per tutte le figure che interagiscono all’interno del suo percorso scolastico. Le modalità di compilazione del nuovo PEI, dettate dalle nuove Linee guida, avranno conseguenze dirette sul calcolo del giusto fabbisogno delle risorse strumentali e professionali, ma anche sulla programmazione e sul lavoro vivo, sull’attività didattica quotidiana. In questo senso le 65 pagine delle corpose Linee guida e i documenti che l’accompagnano ben rappresentano la portata del cambiamento in atto, l’idea di “inclusione 2.0” che ispira gli estensori. Malgrado i buoni propositi che trapelano dal lessico e dall’impostazione generale del discorso, il modello di riferimento rimane quello della scuola delle competenze, della produttività, dell’efficienza, della centralità del risultato. Le Linee guida rispondono inoltre alle esigenze ben poco didattiche ma assai più aziendali della “razionalizzazione” (taglio) delle risorse, in linea con le fosche prospettive indicate dal Bilancio di previsione dello Stato del dicembre 2020, che prevede per l’istruzione migliaia di cattedre di sostegno in meno nell’immediato futuro proprio in relazione alle nuove regole.

Di seguito un breve elenco delle criticità più evidenti.

  • Le Linee guida e il nuovo modello di PEI prevedono la possibilità di esercitare “attività alternative”, e addirittura di decidere l’esonero per gli/le studenti con disabilità con difficoltà particolari in determinate discipline. Possibilità che, oltre a costituire un facile strumento per ridurre le ore di sostegno e assistenza, evoca assai da vicino lo spettro delle classi differenziali e il tramonto della tanto sbandierata idea di “inclusione”.
  • Il vecchio GLH (Gruppo di lavoro sull’handicap), all’interno del quale interagivano tutte le figure che avevano in carico lo/la studente (scuola, famiglia, assistenza, équipe medica), e che nei termini della legge 104 “elaborava congiuntamente” il PEI, secondo le nuove direttive si trasforma in GLO, Gruppo di lavoro operativo. Il GLO è nei fatti un organo nuovo e diverso dal GLH: coincide con il Consiglio di classe, e al suo interno le decisioni prese e riportate nel PEI sono approvate a maggioranza. Il PEI cessa dunque di essere il documento della “definizione congiunta”, della collaborazione, della condivisione, di un lavoro comune tra le parti: non a caso i genitori, rispetto alla precedente impostazione del GLH, sono ridotti a “partecipanti” (non si capisce con quali poteri effettivi, oltre al ruolo di supporto alle scelte), e altre figure importanti sono ammesse solamente previa approvazione del dirigente. Del resto, «risulta determinante il ruolo di leadership del dirigente scolastico», recita la nota Bruschi.
  • La «riunione telematica sincrona», prevista dalle Linee guida, non è più limitata ai tempi della pandemia, ma per la prima volta un documento ufficiale del ministero la sdogana come possibile opzione di routine. Chi ha partecipato almeno una volta alle riunioni di un GLH/GLO e abbia fatto esperienza del carico emotivo, della delicatezza e della pregnanza delle questioni che si affrontano al suo interno sa bene quanto sia fondamentale la presenza fisica, quanto sia necessario uno scambio comunicativo non riducibile alla mera bidimensionalità di una faccia su uno schermo.
  • Il Piano educativo individualizzato diventa un modello standard, unico per tutte le scuole d’Italia, in 4 esemplari simili, distinti per grado di scuola. Nella nuova versione è strutturato in un impianto farraginoso e mastodontico all’interno del quale, sotto il vigile controllo del dirigente, tutta l’attività didattica passata, presente e prevista per il futuro, sin nelle minuzie dovrà essere ricalibrata dal Consiglio di classe secondo le categorie dello standard medico “bio-psico-sociale” del modello ICF. Si tratta di un carico insostenibile di burocrazia che somiglia di più a una pretesa di controllo totale delle attività piuttosto che alle linee di un indirizzo pedagogico-didattico.
  • Il calcolo delle risorse è affidato a un procedimento a crocette, basato su una valutazione meramente quantitativa il conteggio del fabbisogno anziché qualitativa e sulle effettive esigenze rilevate, come avveniva in passato. Sarà possibile calcolare le ore da assegnare al sostegno e alle assistenze specialistiche (queste ultime «nell’ambito delle risorse disponibili»!!) solamente attraverso una tabella precostituita, allegata e unica. A una scala del cosiddetto “debito di funzionamento” (il solito lessico da economisti d’accatto che riduce fra l’altro la disabilità a una mera mancanza, a una malattia, a un problema) corrisponde un numero determinato e fisso di ore. Un lavoro da contabili, non da professionisti della didattica, che sottintende chiaramente anche qui una facile via per tagliare le risorse.
  • Per chi non avesse capito il messaggio, un’intera pagina l’ultima delle Linee guida è dedicata a spiegare, con tanto di esempi esplicativi, le conseguenze penali in capo a ogni singolo appartenente al GLO nel caso in cui la richiesta di ore di sostegno finisca per arrecare un danno all’erario.
  • Tutta da sperimentare alla prova dell’esperienza sarà la novità, che alcuni salutano come positiva, dell’adozione del modello ICF. Vero è che l’incontro tra l’ICF e un’esperienza unica al mondo quale quella della nostra scuola, basata su modelli didattici e pedagogici non riducibili a uno standard medico, lascia prevedere l’esplosione di criticità non facilmente sanabili.
  • Anche quello che il linguaggio mai chiaro e definitivo dei documenti indica come un diritto alla partecipazione al GLO della/dello studente con disabilità sembra non considerare un dato assai evidente maturato nella lunga esperienza della nostra scuola: la presenza davanti al Gruppo di lavoro, al Consiglio di classe, ai medici, ai genitori può rappresentare per lo/la studente con disabilità un’esperienza difficilissima da modulare sul piano dell’impatto emotivo e per questo assolutamente deleteria. Dovrebbe essere il GLO, e in particolare l’insegnante di sostegno insieme alla famiglia, a decidere caso per caso, ma tale evenienza non è specificata.
  • Solamente chi non ha mai messo piede in una scuola e non ha mai esercitato l’attività di insegnante o di educatore può pretendere di prevedere in anticipo, per iscritto, «indicazioni operative in presenza di comportamenti problematici», come avviene nelle Linee guida.

La trasformazione del nuovo PEI da documento condiviso e aperto in un elenco particolareggiato di previsioni, prescrizioni e obblighi inciderà pesantemente, snaturandola, sulla complessità dell’approccio e del rapporto didattico-pedagogico-educativo, che considera fondamentali la libertà pedagogica, l’adattamento, l’improvvisazione, la mediazione.

Colpisce, del nuovo modello di PEI, la mancanza del punto di vista di chi nella scuola lavora tutti i giorni, di chi quotidianamente respira la polvere delle aule e condivide con le/gli studenti spazi e tempi di vita. Solo con l’apporto vivo dell’esperienza professionale vissuta sarebbe stato possibile immaginare una vera riforma del sostegno di cui, dopo anni di nuove esperienze e con una realtà in veloce mutamento, forse si sentiva veramente il bisogno.

Non certo questa riforma, che è da rinviare totalmente al mittente.
Link al video – Sebastiano Ortu (Cobas scuola Pisa) illustra le novità normative sul PEI