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I COBAS lanciano un allarme a governo e famiglie: in queste condizioni a settembre la scuola non può aprire01/07/2021Cobas scuola

Nelle ultime settimane i COBAS hanno presentato presso le Istituzioni alcune proposte di modifica all’art. 59 del  Decreto Legge 73/2021 (Sostegni bis) attualmente in discussione presso la la Camera dei Deputati. Di fronte alla totale indifferenza di tutti i partiti di maggioranza ed opposizione, i COBAS lanciano l’allarme a governo e famiglie in vista dell’apertura delle scuole a settembre che si prevede più caotico dello scorso anno, considerato che circa il 25% di tutte le cattedre in organico di diritto e di fatto sarà scoperto.

La nostra organizzazione, da sempre favorevole ad un sistema di reclutamento basato strutturalmente sul “doppio canale”,  ritiene le misure introdotte dal D.L. Sostegni bis insufficienti a garantire il corretto avvio del prossimo anno scolastico, con tutti i docenti in cattedra, ed a risolvere lo storico problema del precariato. In particolare, il progressivo svuotamento delle Graduatorie ad Esaurimento (GaE) e delle Graduatorie di Merito (GM) regionali (2016 e 2018) ha reso impossibile coprire lo scorso anno scolastico ben 65000 cattedre vacanti e disponibili, ed ha portato a livelli record le cattedre assegnate annualmente ai supplenti (circa 240000, cioè oltre un quarto di tutto il personale docente). Sebbene il D.L. 73/2021 introduce alla possibilità di reclutare il personale docente attraverso la  prima fascia (GPS, Graduatorie provinciali per le supplenze) con tre anni di servizio statale, rimane totalmente irrisolto il problema della copertura oltre 112000 cattedre vacanti e disponibili per l’A.S. 2021/22, ed al contempo il problema della stabilizzazione del personale scolastico con oltre 3 anni di servizio che attualmente si trova nella seconda fascia delle GPS. Per i motivi sopra esposti, chiediamo un intervento del Ministero dell’Istruzione in sede di conversione in legge del D.L. 73/2021 per risolvere immediatamente, strutturalmente e definitivamente il problema del reclutamento del personale scolastico, in modo da garantire il corretto e funzionale avvio del prossimo anno scolastico.

Esecutivo nazionale COBAS – Comitati di base della scuola

A settembre tutti/e a scuola in sicurezza

Anche a Bologna, come in altre 50 città italiane, GIOVEDI 25 GIUGNO si terrà una nuova manifestazione per la riapertura in sicurezza delle scuole a settembre. I Cobas insieme ad altri gruppi, associazioni e sindacati promuovono la nuova giornata di mobilitazione nazionale indetta da Priorità alla scuola.

La comunità scolastica ha bisogno di ripartire in presenza a settembre: bambine, bambini, giovani, insegnanti, Ata, lavoratori, lavoratrici e famiglie hanno resistito per tre mesi – materialmente e psicologicamente – per far fronte a un’emergenza.
Dopo questo enorme sforzo collettivo e quando ormai tutte le attività produttive del Paese sono già riavviate, è ora di dire BASTA: la comunità scolastica ha bisogno di RIPARTIRE IN PRESENZA E SENZA DAD O FORME MISTE IN TUTTI GLI ORDINI DI SCUOLA a settembre, perché senza scuola non c’è politica, non c’è giustizia, non c’è uguaglianza, non c’è crescita – né umana, né economica.
Per questo ribadiamo alcune richieste fondamentali, che sono già state enunciate nei presidi del 23 maggio e del 6 giugno:

  • risorse straordinarie per il rilancio della scuola;
  • riduzione del numero degli alunni per classe (massimo 15);
  • consistente incremento dell’organico docente, a cominciare dall’immissione in ruolo dal primo settembre 2020 di TUTTI i 200.000 precari che hanno lavorato quest’anno e di quelli che comunque hanno alle spalle 3 anni di servizio;
  • consistente incremento del personale ATA che garantisca la riapertura delle scuole in sicurezza senza che questo si traduca in un sovraccarico di lavoro sulle spalle di un personale numericamente insufficiente;
  • utilizzo di tutte le risorse interne alla scuola (ore di potenziamento e tutte le risorse legate al FIS) per attività e progetti legati all’aiuto degli alunni e delle alunne in difficoltà e per l’attività didattica ordinaria;
  • ricerca e utilizzo di risorse esterne alla scuola (dai PON ai finanziamenti di enti pubblici e soggetti privati) che abbiano esclusivamente lo stesso obiettivo del punto precedente;
  • immediato conferimento di supplenze temporanee, fin dal primo giorno di assenza del personale docente e ata e conseguente divieto di distribuire gli/le studenti nelle altre classi in caso di assenza del docente;
  • divieto, salvo casi di estrema necessità, dell’utilizzo di ore eccedenti, delle ore di contemporaneità, di ore aggiuntive retribuite col FIS, dell’organico dell’ autonomia, a fini della copertura delle assenze ;
  • impegno di Comuni e Provincia a trovare spazi nuovi o dismessi per tutte le scuole di ogni ordine e grado;
  • investimenti strutturali per l’edilizia scolastica;
  • prevenzione sanitaria nelle scuole;
  • emanazione, entro il mese di luglio 2020, di un protocollo chiaro e puntuale sulle procedure da mettere in atto nelle scuole in caso di assenza di personale scolastico o studenti per sindrome influenzale non essendo possibile diagnosticarne da subito la sua origine escludendone il Covid-19 come causa.
  • diritto universale di congedo retribuito a tutti i genitori fin dal primo giorno di malattia del figlio, al fine di preservare il diritto alla salute e all’istruzione.
  • Interventi inclusivi di welfare studentesco: trasporti e libri di testi gratuiti, per tutti gli ordini e gradi di scuola, bonus studio, interventi previdenziali per genitori.
    Di contro, non sono accettabili la riduzione del tempo scuola, le esternalizzazioni per completare il tempo scuola, le lezioni di 40 minuti e la conferma della DAD come parte strutturale dell’orario di scuola.

Purtroppo, il Ministero dell’Istruzione e gli USR si stanno muovendo in tutt’altra direzione: hanno applicato i vecchi criteri per la formazione delle classi, arrivando a produrre l’effetto di un ulteriore taglio alle superiori, dovuto alla mancanza di “ripetenti”, ciò ha significato l’assegnazione di un numero di classi inferiore a quello che sarebbe stato concesso in assenza dell’emergenza COVID!!! provocando di fatto un incremento di alunni per classe e numerose classi con anche più di 30 alunni!!!
Con questi numeri come si fa a garantire il distanziamento?
Non sono più accettabili la confusione e i continui cambi di posizione delle ultime settimane e, soprattutto, lo stanziamento di soli 1,5 miliardi di euro per il rilancio della scuola, peraltro destinati in buona parte alle attrezzature digitali e alla didattica a distanza. Tali fondi vanno moltiplicati almeno per 10 volte per un intervento straordinario per l’edilizia scolastica e il potenziamento degli organici. E questa volta i fondi ci sono, visto che con il Recovery Fund arriveranno dall’Unione Europea circa 170 mld, che vanno destinati prevalentemente a scuola, sanità, trasporti e ai servizi pubblici in generale oltre a garantire il reddito della parte della popolazione più colpita dalla crisi.

25 GIUGNO 2020: MANIFESTAZIONE A BOLOGNA

ORE 18 PIAZZA XX SETTEMBRE

Cobas Scuola Bologna

Comunicato-stampa Studente sottoposto di forza a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) perché rifiuta di indossare la mascherina in classe

Abbiamo appreso dagli organi di stampa che un ragazzo di 18 anni, studente dell’istituto Olivetti di Fano, è stato prelevato dalle forze dell’ordine, trasferito nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Fano e sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) perché rifiutava di indossare la mascherina in classe. Il Telefono Viola denuncia da anni gli abusi che si continuano a perpetrare attraverso il TSO che incatena i diversi e i non conformi al manicomio “chimico” degli psicofarmaci, attraverso la pratica del trattamento sanitario obbligatorio, facendone dei lobotomizzati farmacologici. In realtà i trattamenti sanitari psichiatrici obbligatori sono veri e propri residui manicomiali e il giudizio psichiatrico si contrassegna per la sua particolare ottusità e ridicolaggine rispetto a giudizi di altro tipo: antropologico, filosofico, poetico, culturale, religioso, sociologico, psicologico, letterario, ecc.. dimostrando che il manicomio non è solo un luogo, ma un criterio e che sino al momento in cui lo Stato si potrà permettere di sequestrare un cittadino per il suo pensiero, i manicomi saranno ovunque. Oggi, a quarantatre anni dall’abolizione dei manicomi, di fronte a questo caso (come nei molti che l’hanno preceduto) dobbiamo drammaticamente constatare come l’azione di controllo sociale della psichiatria continua ad imperversare, arrivando persino ad entrare nelle scuole, psichiatrizzando ragazzi che manifestano atteggiamenti “non conformi”.Questo episodio conferma al Telefono Viola – che è già intervenuto, insieme al CESP e ai COBAS, con seminari e convegni rivolti a docenti e ATA proprio sul tema della “medicalizzazione” del disagio psico-relazionale che sembra essere diventata l’ottica prevalente in taluni contesti scolastico/educativi – quanto sia diffuso il rischio di leggere i comportamenti degli studenti e delle studentesse con la lente deformante della diagnosi clinica. Per questo abbiamo dato mandato all’avvocato Gioacchino Di Palma (con il quale il Telefono Viola si è già costituito parte civile nel processo Mastrogiovanni e in quello contro lo Stella Maris di Pisa per gli abusi farmacologici ai danni dei propri pazienti, anche minori), di seguire il caso, chiedendo la revoca del TSO, al Giudice Tutelare (che ha tra le sue prerogative anche quella di annullare il provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio adottato dal Sindaco), e intervenendo presso il Sindaco di Fano (che quel TSO ha firmato), la Direzione Sanitaria dell’Ospedale di Pesaro (che ha permesso il ricovero e ha trattenuto il ragazzo nel reparto psichiatrico per una settimana) e presso il Ministero dell’Istruzione, affinché chieda spiegazioni sull’accaduto, visto che un Dirigente scolastico a fronte di una pacifica protesta del giovane studente, non sa fare altro che chiamare il 118, determinandone il “sequestro” psichiatrico.

Anna Grazia Stammati presidente Telefono Viola7 maggio 2021

LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO E CENSURA AI TEMPI DELLA DAD

Comunicato stampa – Cobas Scuola Bologna

A scuola, forse, non ci si dovrebbe servire di un Bignami.

Il clamore suscitato da una lezione ed un esercizio in classe in cui è stata coinvolta una nota canzone di Bello Figo sembra decisamente immotivato: se ne è parlato sui giornali locali, è stato coinvolto l’Ufficio scolastico provinciale, l’On. Bignami ha addirittura rivolto un’interpellanza parlamentare al Ministro Bianchi. Si è parlato di cattive influenze sui ragazzi, dell’assenza di un contesto nell’attività didattica, di pessima qualità dei contenuti proposti. Ce n’è veramente motivo o forse dobbiamo scavare per cogliere le vere ragioni di una così grande mobilitazione?

La vicenda è stata presentata come se l’ascolto della canzone fosse frutto di un’improvvisazione della docente, come se ci fosse un intento un po’ naif di fondo, senza alcun tipo di spirito critico. Noi sappiamo che è esattamente il contrario, perché conosciamo la collega e la sua lunga esperienza di docente. Non è qui il punto però: si tratta infatti dell’ennesima occasione in cui si cerca di far passare un’insegnante come una sprovveduta, mettendo in discussione la professionalità e l’autonomia di noi docenti. È un gioco facile del resto: basta estrapolare un’attività dal suo contesto per avere questo effetto. Un’operazione facile in un momento in cui le lezioni sono a portata d’orecchio di chiunque passi.

Come è stato possibile che un’ora di italiano in DAD delle Aldrovandi Rubbiani si sia trasformata in un avviso all’Ufficio scolastico, in diversi articoli e oggi in un’interpellanza parlamentare? Semplice: in questo periodo in cui la didattica si sviluppa su piattaforme digitali, microfoni e videocamere è molto facile prestare orecchio a quello che si svolge nelle ore di lezione, anche se lo spazio della classe dovrebbe restare, anche in modalità digitale, un luogo sicuro non solo per chi insegna, ma soprattutto per le e gli studenti. L’aula non è un qualcosa che rinchiude, anzi: lo stare a scuola permette a ragazze e ragazzi di trovare uno spazio di confronto, di discussione e quindi di crescita reso sicuro dalla presenza di insegnanti. Quest’area di libertà viene loro garantita oggi? La serenità di parlare e di esprimersi liberamente è messa a rischio dal fatto che ci potrebbe essere qualcuno di non identificato all’ascolto. In maniera chiara lo sottolineano le colleghe e i colleghi della nostra compagna

«E’ anche per questo che lo spazio della classe e della scuola può essere liberatorio, perché eccede i confini della famiglia, dei suoi valori e delle sue prescrizioni, permettendo a ragazze e ragazzi di incontrare il mondo esterno nella sua complessità e di formarsi una propria autonoma identità sociale. Questo spazio deve essere preservato a tutti i costi nella sua autonomia e protetto da intrusioni esterne dei genitori». 

E poi: come mai abbiamo potuto leggere di quest’ora di lezione su “Il Resto del Carlino”? Perché una docente si è trovata a dover parlare delle sue scelte didattiche ed educative ad un giornalista?

Se il clamore sulla tanto discussa ora di lezione è stato sollevato da una o più famiglie che hanno ritenuto poco opportuno un intervento didattico dobbiamo immaginare che questa sia stata l’extrema ratio di fronte al muro sollevato da una docente? L’incontro a scuola in presenza della preside non è evidentemente servito ad aprire un dialogo con la genitrice che non ha preso in alcuna considerazione le motivazioni didattiche addotte, preferendo rivolgersi “altrove”. Forse, dall’alto della sua posizione di parte – secondo lei – offesa, si sarebbe resa disponibile al dialogo solo e soltanto se avesse ricevuto delle scuse, ovvero se la nostra collega avesse chinato la testa e rinunciato alle sue posizioni pedagogiche-relazionali. Un passaggio fondamentale questo, di cui nei successivi passaggi sui media e oggi in Parlamento si è persa ogni traccia. Perché? Si è deteriorata fino a questo punto l’importanza data al dialogo con le famiglie o dietro a questo “scandalo bolognese” c’è qualcuno che ha cercato di approfittare di questa situazione per ottenere visibilità sulle spalle di una collega?

Veniamo poi ad un punto che fino ad ora abbiamo lasciato da parte ma che invece per noi, che facciamo scuola davvero giorno per giorno è in realtà centrale: la didattica e la relazione educativa che costruiamo con le e gli studenti.

Tra le critiche mosse alla scuola una delle più frequenti è quella di essere slegata dalla realtà, non attenta al mondo in cui vivono i ragazzi e le ragazze e, soprattutto per quanto riguarda le materie umanistiche, inutile. Quella situazione che qualcuno- molto probabilmente interessato- ha voluto mettere in discussione è invece un esempio, se mai ci fosse bisogno di spiegarlo, di quella che potrebbe essere una modalità “da manuale”di condurre una lezione: una proposta didattica che coinvolge attivamente dei ragazzi e delle ragazze all’interno della lezione su tematiche che possono essere pienamente considerate di cittadinanza; nel momento in cui la docente coglie qualcosa che possa risultare offensivo per lei stessa o per qualche studente della classe sospende l’attività non in una modalità censoria bensì stimolandoli alla riflessone e all’esercizio attivo delle proprie capacità critiche, invitando infine ad applicare alcuni strumenti che possono essere figlie della disciplina- l’analisi delle produzione testuali, l’uso dell’argomentazione e l’organizzazione del proprio punto di vista- ad un qualcosa di reale e che appartiene alla vita di tutti i giorni, proprio quella che si trova fuori dalle ore di lezione e che dal ministero ci invitano a tenere come banco di prova. E allora, il problema dove si dovrebbe trovare?

C’è un altro aspetto infatti che va considerato e che ci sembra importante sottolineare anche in questa situazione in cui sono evidenti i vantaggi politici che qualcuno sta ricavando da tutto questo: il rapporto che alcune famiglie ritengono di poter avere con i/le docenti e l’istituzione scuola. Dal loro punto di vista, sollevando questo polverone, i genitori in questioni hanno voluto evidentemente palesare l’insoddisfazione per un servizio che non ritenevano adeguato, naturalmente il tutto condito con una logica molto alla moda del “te la faccio pagare”. È questo ciò cui si sono ridotti la scuola e l’insegnamento? Evidentemente anni di aziendalizzazione dell’istruzione e di immiserimento della scuola hanno portato alla percezione dell’insegnantecome una figura completamente svuotata di ogni autonomia critica e culturale di cui ci si può lamentare qualora non ci piaccia. Così reagiscono i clienti insoddisfatti quando pubblicano una recensione negativa di un ristorante sui social se non hanno trovato il servizio all’altezza. Oggi lo è una supposta attività offensiva, un domani, neanche troppo lontano, potrebbe esserlo qualunque nostro tipo di scelta. La costruzione di un rapporto scuola-comunità incentrata sull’ottica dell’erogazione di un servizio non può che aver questo come risultato. E a conti fatti, si finisce per erodere il principio cardine della libertà di insegnamento previsto dalla Costituzione senza intaccarlo direttamente. Un danno questo che non riguarda solo chi insegna ma soprattutto gli studenti e le studentesse che finiscono per perdere delle occasioni preziose, molto rare nella società di oggi, di potersi confrontare in maniera critica, libera e sicura e di maturare quindi una loro opinione.

Ci si augura che in questa occasione, a differenza di quello che è successo in altre situazioni come quella molto nota della collega di Palermo Rosa Maria Dell’Aria, l’Ufficio scolastico non si presti a questi giochi che nulla hanno a che fare con il benessere di ragazzi e ragazze, probabilmente soddisfatti e tranquilli di avere una docente in gamba. Dopo la notizia che l’operazione di sciacallaggio politico ai danni della scuola è giunta perfino al livello dell’interpellanza parlamentare per mano dell’onorevole Bignami è la scuola nel suo insieme, le docenti e i docenti di ogni plesso scolastico che sono chiamati a rispondere sulla scia di quanto hanno fatto colleghe e colleghi dell’Istituto Aldrovandi.

INVITIAMO PER QUESTO TUTTI A DISCUTERE IN CLASSE L’EPISODIO INCRIMINATO, DANDO ANCORA UNA VOLTA VOCE AGLI STUDENTI E ALLE STUDENTI AFFINCHÈ ANCHE DA UN EPISODIO PER MOLTI ASPETTI SQUALLIDO COME QUESTO POSSA NASCERE QUALCOSA DI POSITIVO E COSTRUTTIVO A PARTIRE DAL LIBERO CONFRONTO.

PERCHÉ È LA LORO LA VOCE CHE SI VUOLE SPEGNERE, INSIEME ALLA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO, NON QUELLA DI BELLO FIGO.

10/03/2021

COBAS SCUOLA BOLOGNA

IL 25 GENNAIO CHIUDONO LE ISCRIZIONI: ORA CHIUDIAMO LE CLASSI POLLAIO!

Il 25 gennaio

Manifestazioni in decine di città. A Bologna presidio di fronte all’Ufficio scolastico regionale in Via de’ Castagnoli n.1, ore 15.30

RIDURRE IL NUMERO DI ALUNNI/E PER CLASSE

ASSUMERE IMMEDIATAMENTE I/LE PRECARI/IE DELLA SCUOLA

 La ministra Azzolina è entrata al MIUR affermando che avrebbe preso di petto la questione delle classi pollaio ed ha continuato a ribadire lo stesso concetto anche nel corso della pandemia. Queste sono le parole. E i fatti?

La ministra Azzolina è entrata al MIUR affermando che avrebbe preso di petto la questione delle classi pollaio ed ha continuato a ribadire lo stesso concetto anche nel corso della pandemia. Queste sono le parole. E i fatti?

I fatti ci dicono che nemmeno un euro è stato stanziato, né nel Recovery Plan né in Finanziaria, per la riduzione del numero di alunni/e per classe e il problema del sovraffollamento delle aule è letteralmente scomparso nelle recenti linee guida emanate dal MIUR.

Così le scuole, che stanno finendo di raccogliere le iscrizioni per il prossimo anno scolastico, procederanno con i soliti coefficienti a costruire le classi iniziali.

Il tutto come se non si fosse nel pieno di una pandemia globale.

Il tutto come se la pandemia non avesse mostrato la condizione disastrosa della scuola pubblica italiana.

I tagli che negli anni sono stati inflitti alla scuola pubblica, il cui esito è stato ulteriormente aggravato dalla crisi hanno comportato l’interruzione (o il forte depotenziamento attraverso la DAD) del diritto costituzionale all’istruzione per un’intera generazione, che ne sta pagando il prezzo, anche psicologicamente.

Rispetto a tutto questo, continuiamo a chiedere un punto di PIL per finanziare la scuola pubblica; chiediamo che i soldi pubblici, siano essi fondi europei o nazionali, non siano investiti ancora in digitale o in una fantomatica sinergia con le attività produttive, ma vengano utilizzati per una riduzione significativa del numero di alunni/e per classe e per il conseguente ampliamento dell’organico docente e ATA, unica risorsa per affrontare le problematiche di questo momento e del futuro; chiediamo che docenti e ATA vengano stabilizzati quanto prima.

Non vogliamo rientrare nella “scuola-miseria” che abbiamo conosciuto prima della pandemia: vogliamo una scuola pubblica sicura e di qualità, unico vero e reale deterrente a delle innovazioni che non sono altro che privatizzazioni mascherate. 

Il 25 gennaio alle ore 15:30, assieme a Priorità alla scuola Bologna, saremo di fronte all’Ufficio scolastico regionale in Via de’ Castagnoli n.1 per porre alle istituzioni quelle che devono essere le priorità per una scuola pubblica sicura e di qualità:

  • riduzione del numero di alunni/e per classe: massimo 20 alunni/e e 15 in presenza di alunne/i con disabilità
  • immediata assunzione dei/lle precari/ie della scuola statale
  • investimenti seri e veloci sull’edilizia scolastica
  • tracciamento periodico, capillare e diffuso all’interno delle scuole
  • introduzione immediata della figura del medico scolastico

COBAS – Comitati di base della Scuola Bologna
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RIAPERTURA DELLE SCUOLE E SICUREZZA

La ritirata del governo sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio sembra non avere più limiti: la scelta di ridurre dal 75 al 50% la percentuale di attività che si svolgeranno in presenza nelle scuole superiori è stata soppiantata, a due giorni dalla scadenza, dalla decisione di rimandare l’apertura all’11 gennaio, apertura che, a sua volta, dovrà essere confermata dopo la valutazione dei dati nel prossimo week end. Già nelle ore precedenti questa ultima delibera governativa, diverse regioni si erano mosse autonomamente e, con un effetto a catena,  avevano annunciato lo spostamento della riapertura in Febbraio. Il caos e il disorientamento regnano sovrani, il governo appare sempre più incapace di gestire la situazione e la scuola, proprio quando viene abbandonata alla deriva,  diviene terreno primario di uno straniante e improvvido conflitto politico-istituzionale: per il regolamento di conti tra le forze politiche di governo così come per l’affermazione nei fatti di una balcanizzazione del paese parallela al processo di rafforzamento dei poteri della conferenza stato-regioni.

Come se ciò non bastasse anche il mondo sindacale, attraverso raccolte di firme, tavoli di “concertazione” regionali e prese di posizione a livello nazionale,  si è mosso compattamente per chiedere di bloccare la ripresa delle lezioni in presenza in nome della salute e della sicurezza. Lo slogan “Scuole aperte in sicurezza” è divenuto un altro modo per dire “Scuole chiuse fino a quando non sarà garantita la piena sicurezza”. Fino a quando dunque?

La posizione dei Cobas della scuola su questo punto, maturata in lunghi mesi di dibattito serrato, è molto diversa, ed è stata espressa nelle assemblee e nei convegni di Dicembre. Ancora una volta siamo di fronte a politiche di gestione dell’epidemia che contraddicono la presunta volontà politica di riaprire le scuole. Nessun piano nazionale di gestione del monitoraggio scuola per scuola, della gestione dei tamponi, nessuna trasparenza sulla gestione prefettizia, nessun intervento strutturale sui trasporti, nessuna presenza del personale sanitario all’interno delle scuole, nemmeno una presa di posizione chiara e vincolante sui piani vaccinali. E’ evidente che ciò che il governo dice non è allineato con ciò che fa, ma ciò significa operare comunque una scelta chiara: mettere in cantiere la chiusura delle scuole come primo provvedimento da adottare di fronte alla crescita della curva dei contagi. Assumere il diritto all’istruzione come il primo dei diritti sacrificabili in nome della salute pubblica. Era così a Settembre e così continua ad essere.
E’ appunto questa prevedibilità e questa coerenza degli effetti dell’azione-inazione di governo che ci impone di pensare e muoverci in modo diverso sulla questione della riapertura delle scuole e della sicurezza.
Le scuole superiori non sono un luogo più insicuro di tanti altri posti di lavoro aperti (lo conferma anche l’ultimo Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità), a partire dalle stesse scuole medie, elementari e materne e risulta davvero difficilmente comprensibile perché sul piano della sicurezza chi lavora nella scuola media lo faccia in presenza e chi lavora nella scuola superiore invece no. Oppure chiediamo la chiusura di tutto, dalla materna all’università? Il piano strettamente sindacale, peraltro a tutela di una sola parte della categoria (il personale in servizio nella scuola secondaria di II grado), a noi sembra insufficiente per trovare un orientamento nel presente della scuola. La scuola è un bene pubblico primario e non un luogo privato di profitto. Non è la stessa cosa lavorare a scuola o lavorare in un’azienda privata o in un ruolo meramente impiegatizio. Il problema della Salute nella scuola deve riuscire a tenere insieme la dimensione lavorativa con quella sociale. Il danno alla salute psicofisica che sta producendo la chiusura delle scuole colpisce tutti, come avverrebbe per la chiusura di poliambulatori e ospedali, ma colpisce in primo luogo le fasce sociali più deboli e le lavoratrici e i lavoratori di altri settori che continuano a lavorare in presenza spesso senza avere garanzie di sicurezza maggiori di docenti e ATA.

Docenti e ATA che chiedono le scuole chiuse per motivi di sicurezza fruiscono quotidianamente dei servizi pubblici ma anche privati in cui altri lavoratori e altre lavoratrici garantiscono loro la possibilità di fare visite, esami del sangue, acquistare medicine o anche semplicemente di fare la spesa, mettendo in gioco i loro corpi e le loro paure personali. Perché proprio noi che lavoriamo nella scuola (e per giunta solo quelli delle scuole superiori) dovremmo essere meno motivati ad esserci e a lottare contro il deserto sociale che ci sta annichilendo tutti/e? Non avere la percezione di ciò significa accettare l’idea della scuola come un servizio pubblico superfluo, altro che essenziale. O qualcuno davvero crede ancora che la DAD sia scuola, quando perfino i suoi promotori indefessi della prima ora hanno abbandonato il campo? La scuola deve rimanere aperta perché non è più accettabile – ma in realtà non lo è mai stato – che venga ancora immolata sull’altare della vita economica e della salvaguardia delle attività produttive: è un punto per noi dirimente, anche a costo di perdere una parte di consenso sindacale nella categoria. Abbiamo visto in questi mesi le scuole chiuse e le vie dello shopping gremite, le stesse vie in cui ordinanze securitarie imponevano però il divieto di manifestazione. Dovremmo pensare che il piano abbia il fine di preservare salute e sicurezza?
La lotta per la sicurezza pensiamo si debba combattere sui luoghi di lavoro con le scuole aperte, a partire dalla richiesta di un sistema di tracciamento efficace e di servizi sanitari nelle scuole, che gestiscano in modo diretto i tamponi rapidi sul posto. Gli interventi del governo e ancor più delle regioni non sono adeguati e per questo dobbiamo continuare a batterci, ma le nostre rivendicazioni non possono giustificare la chiusura delle scuole, a meno che l’emergenza non abbia portato a chiudere anche le attività produttive. Le condizioni di totale sicurezza non esistono in nessun luogo di lavoro e per la scuola oggi questa richiesta in termini generali, e non legata a situazioni specifiche in cui si può determinare la chiusura di una classe, di un plesso o di una scuola, può solo significare il perdurare della situazione intollerabile di questi mesi e la chiusura ad oltranza di un servizio ritenuto superfluo.                                                                                

COBAS – Comitati di base della Scuola
7 gennaio 2021

Scuole aperte e sicurezza

La retromarcia del governo sulla riapertura delle scuole il 7 Gennaio ha portato dal 75 al 50% la percentuale di attività che si svolgeranno in presenza, senza possibilità estensive e, come se ciò non bastasse sono nate in questi giorni raccolte di firme per bloccare del tutto la ripresa delle lezioni in nome della salute e della sicurezza, sostenute anche da soggetti sindacali.
La posizione dei Cobas della scuola su questo punto, maturata in lunghi mesi di dibattito serrato, è molto diversa, ed è stata espressa nelle assemblee e nei convegni di Dicembre.
Le scuole superiori non sono un luogo più insicuro di tanti altri posti di lavoro aperti, a partire dalle stesse scuole medie, elementari e materne e risulta davvero difficilmente comprensibile perché sul piano della sicurezza chi lavora nella scuola media lo faccia in presenza e chi lavora nella scuola superiore invece no.
Oppure chiediamo la chiusura di tutto, dalla materna all’università?
Il piano strettamente sindacale, peraltro a tutela di una sola parte della categoria (il personale in servizio nella scuola secondaria di II grado), a noi sembra insufficiente per trovare un orientamento nel presente della scuola.
La scuola è un bene pubblico primario e non un luogo privato di profitto. Non è la stessa cosa lavorare a scuola o lavorare in un’azienda privata o in un ruolo meramente impiegatizio. Il problema della Salute nella scuola deve riuscire a tenere insieme la dimensione lavorativa con quella sociale. Il danno alla salute psicofisica che sta producendo la chiusura delle scuole colpisce tutti, come avverrebbe per la chiusura di poliambulatori e ospedali, ma colpisce in primo luogo le fasce sociali più deboli e le lavoratrici e i lavoratori di altri settori che continuano a lavorare in presenza spesso senza avere garanzie di sicurezza maggiori di docenti e ata.
Docenti e ATA che chiedono le scuole chiuse per motivi di sicurezza fruiscono quotidianamente dei servizi pubblici ma anche privati in cui altri lavoratori e altre lavoratrici garantiscono loro la possibilità di fare visite, esami del sangue, acquistare medicine o anche semplicemente di fare la spesa, mettendo in gioco i loro corpi e le loro paure personali. Perché proprio noi che lavoriamo nella scuola (e per giunta solo quelli delle scuole superiori) dovremmo essere meno motivati ad esserci e a lottare contro il deserto sociale che ci sta annichilendo tutt*?
Non avere la percezione di ciò significa accettare l’idea della scuola come un servizio pubblico superfluo, altro che essenziale. O qualcuno davvero crede ancora che la DAD sia scuola, quando perfino i suoi promotori indefessi della prima ora hanno abbandonato il campo?
La scuola deve rimanere aperta perché non è più accettabile – ma in realtà non lo è mai stato – che venga ancora immolata sull’altare della vita economica e della salvaguardia delle attività produttive: è un punto per noi dirimente, anche a costo di perdere una parte di consenso sindacale nella categoria. Abbiamo visto in questi mesi le scuole chiuse e le vie dello shopping gremite, le stesse vie in cui ordinanze securitarie imponevano però il divieto di manifestazione. Dovremmo pensare che il piano abbia il fine di preservare salute e sicurezza?
La lotta per la sicurezza pensiamo si debba combattere sui luoghi di lavoro con le scuole aperte, a partire dalla richiesta di un sistema di tracciamento efficace e di servizi sanitari nelle scuole, che gestiscano in modo diretto i tamponi rapidi sul posto. Gli interventi del governo e ancor più delle regioni non sono adeguati e per questo dobbiamo continuare a batterci, ma le nostre rivendicazioni non possono giustificare la chiusura delle scuole, a meno che l’emergenza non abbia portato a chiudere anche le attività produttive. Le condizioni di totale sicurezza non esistono in nessun luogo di lavoro e per la scuola oggi questa richiesta in termini generali, e non legata a situazioni specifiche in cui si può determinare la chiusura di una classe, di un plesso o di una scuola, può solo significare il perdurare della situazione intollerabile di questi mesi e la chiusura ad oltranza di un servizio ritenuto superfluo.

31.12.2020
Cobas Scuola Bologna

Concorso e posti covid: un caos che doveva essere evitato

Dopo aver costretto gli uffici scolastici provinciali e le scuole a un duro lavoro per gestire le riaperture adeguandosi a linee guida arrivate con grave ritardo e per coprire le oltre 200mila cattedre vacanti in Italia (spesso con graduatorie piene di errori e con convocazioni poco trasparenti), la ministra Azzolina si è resa protagonista di una nuova scelta estremamente inopportuna confermando nel mese di ottobre le prove scritte del concorso straordinario per il ruolo.

Un concorso che i COBAS da mesi proponevano per titoli di studio e servizio, trattandosi di precari storici con almeno 3 anni di servizio, quindi già in possesso dei titoli per l’insegnamento e con esperienza pluriennale acquisita sul campo, che mandano di fatto avanti la scuola pubblica italiana. Un concorso che non sarebbe riuscito a tutelare nemmeno le situazioni più fragili come quella dei posti di sostegno, rispetto ai quali la volontà di ultra selezionare insegnanti già specializzati, congiunta all’esclusione di coloro che hanno maturato servizio ma privi del titolo specializzante, permetteva di contare, già prima di iniziare le prove, migliaia di posti che sarebbero rimasti scoperti. Aldilà della volontà estremamente discutibile di sottoporre a tutti i costi a prove selettive personale già qualificato, competente e con esperienza, è risultata a tutti evidente l’impraticabilità di un concorso in autunno, quindi nel bel mezzo di un anno scolastico estremamente complicato per le scuole, alla ricerca disperata di spazi e personale e costrette allo stesso tempo ad allestire aule per lo svolgimento delle prove e a mettere a disposizione degli uffici scolastici regionali insegnanti di ruolo per rivestire la carica di commissari. La decisione di proseguire con lo svolgimento del concorso, ignorando il riaggravarsi della diffusione del covid-19, ha portato a mettere a rischio la salute di migliaia di precari iscritti al concorso, costretti spesso a lunghi viaggi anche interregionali e a sostenere le prove in aule ben più affollate delle “dieci persone” alle quali la Ministra ha più volte fatto riferimento. Inoltre molti docenti sono stati esclusi dalle prove, a causa di banali raffreddori o stati febbrili, ma anche di quarantene imposte per contatti con soggetti positivi. Non solo non è stato bloccato o quantomeno rinviato il concorso alla fine dell’anno scolastico in attesa di tempi migliori, ma non è stata prevista nemmeno una prova suppletiva per tutti coloro che non sono riusciti a partecipare per motivi di salute o quarantene, scelta questa che espone il Ministero a ondate di ricorsi prevedibili e legittimi. Tutto è proseguito fino a mercoledì scorso, quando l’ennesimo DPCM ha imposto la sospensione a data da destinarsi di tutti i concorsi pubblici e privati tra cui lo straordinario per il ruolo degli insegnanti. All’improvviso migliaia di precari, ormai in procinto di trasferirsi nelle rispettive sedi per sostenere le prove, hanno visto cambiare per l’ennesima volta le regole del gioco in corsa. Un esito annunciato, che vedrà il MIUR inevitabilmente oggetto di ulteriori ricorsi da parte di migliaia di precari e il tanto rivendicato concorso per prove bloccato e destinato a concludersi – se mai si concluderà – in tempi biblici, allungando a catena i tempi di organizzazione ed espletamento delle prove del concorso ordinario e di quello straordinario abilitante. Al caos concorso si aggiunge il caos posti Covid. Un organico aggiuntivo di 50 mila dipendenti tra personale ATA e docente (poi diventati 76 mila), creato solo ed esclusivamente per questo anno scolastico per l’emergenza Covid, ma che sarebbe stato opportuno aggiungere stabilmente agli organici delle scuole per eliminare il cronico e discusso fenomeno delle classi pollaio. Personale che è stato inserito nelle scuole a distanza di settimane dall’inizio delle lezioni per i tempi estremamente lunghi e farraginosi delle convocazioni dalle graduatorie provinciali e clamorosamente pure ridotto in corso d’opera. La motivazione è ai limiti del grottesco: il Tesoro si è accorto di non avere la copertura finanziaria per tale incremento di personale e il MIUR ha intimato gli uffici scolastici di bloccare le assunzioni e addirittura la firma di contratti a lavoratori già entrati in servizio. I primi “fortunati” firmatari dei contratti per posti Covid, i cui incarichi sono stati confermati e che grazie a un emendamento in extremis in Parlamento, si sono visti riconoscere il sacrosanto diritto al mantenimento del posto di lavoro anche in caso di chiusura delle scuole, hanno comunque riscontrato, al pari di colleghi impegnati in supplenze brevi, notevoli ritardi nel pagamento degli stipendi di ottobre, e in alcuni casi continuano ad attendere sempre più preoccupati avendo già prestato servizio per oltre un mese senza ricevere nessun pagamento. Per rimediare a questo clamoroso fallimento non si può che fare un passo indietro! Di fronte alle ingiustizie causate da un concorso dimezzato, ai sacrifici e ai rischi intrapresi da tutti coloro che hanno sostenuto o stavano per sostenere le prove, al grande bisogno di insegnanti stabili su ogni ordine e grado e ai diritti dei precari di veder riconosciuto il proprio diritto alla stabilità e alla dignità lavorativa chiediamo con forza:


 – l’immediata assunzione a tempo indeterminato di TUTTI i circa 70.000 precari con tre anni scolastici di servizio, attraverso un concorso per soli titoli di studio e servizio;

– l’immediata assunzione di tutti coloro che hanno conseguito la specializzazione sul sostegno e la previsione di un percorso di assunzione e formazione sul sostegno per coloro che hanno maturato almeno tre anni di esperienza specifica;

– il raddoppio dei posti previsti per il concorso ordinario, in ragione dei numerosi pensionamenti previsti per i prossimi anni;
– l’immediato pagamento degli stipendi per tutti i supplenti attualmente in servizio;


– lo sblocco dei cosiddetti contratti covid inizialmente promessi alle scuole e poi non attivati e l’inserimento di questi nuovi posti all’interno dell’organico strutturale
 della scuola.

NEL FRATTEMPO INVITIAMO I COLLEGHI AD ADERIRE AL RICORSO PER LA MANCATA INDIZIONE DELLE PROVE SUPPLETIVE SCRIVENDO A RICORSICOBAS@GMAIL.COM

11 novembre 2020
Esecutivo Nazionale dei COBAS – Comitati di Base della Scuola

RIAPRIRE LE SCUOLE COME NEL RESTO D’EUROPA!

I Governi di Germania, Francia, Irlanda, Olanda e persino del Regno unito varano forme più o meno intense di lockdown, ma salvaguardano il diritto all’istruzione; il Governo Conte PD- 5S- Leu con i DPCM del 25 ottobre e del 4 novembre chiude le scuole superiori e nelle zone rosse anche le due ultime classi delle medie.

E’ evidente la scelta politica di sacrificare il diritto all’istruzione e/o la leggerezza con cui il Governo interviene, noncurante degli effetti duraturi di lungo periodo della c.d. didattica a distanza e/o già con la prolungata chiusura dello scorso anno si sono registrati effetti negativi strutturali sulle capacità di apprendimento degli studenti e un regresso significativo nelle capacità cognitive di livello più alto, relative all’analisi dei singoli fenomeni, alla loro contestualizzazione, allo sviluppo dello spirito critico. Tali effetti sono stati registrati in tutti gli ordini di scuola, dalla scuola dell’infanzia alle superiori. Questa nuova chiusura, considerando anche la probabile reiterazione oltre il 3 dicembre, rischia di estenderli e renderli strutturali e irrecuperabili per un’intera generazione.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: la scuola è relazione sia umana che cognitiva e tale relazione non può essere mediata dallo schermo di un computer! La scuola pubblica mira alla riduzione delle disuguaglianze e la DAD aumenta le disuguaglianze. In DAD non è possibile alcuna seria valutazione sommativa degli studenti e dovrebbe essere chiaro a tutti che un altro anno di promozione per decreto avrà effetti devastanti sulla preparazione di una generazione di studenti. La scuola pubblica è appunto pubblica e non può usare acriticamente gli strumenti e i prodotti didattici delle multinazionali del web. Più si prolunga l’uso della DAD, più aumenta il rischio, denunciato dai Cobas sin dall’inizio, della tecnica della shock economy: approfittare della pandemia per rendere strutturale l’uso della DAD didattica digitale, con conseguente ulteriore dequalificazione della scuola.

Tutto questo è l’effetto della scellerata gestione politica dei mesi estivi: si poteva-doveva potenziare il trasporto pubblico per evitarel’effetto sardinee non è stato fatto; si dovevano potenziare le strutture sanitarie e, in particolare,  posti Covid e, invece, sono stati tagliati, premiando i dirigenti più solerti;  si dovevano potenziare a ben altri livelli le capacità di effettuare test diagnostici e predisporre adeguate risorse per il tracciamento;  si potevano (re)introdurre presidi sanitari nelle scuole per attuare efficaci politiche di prevenzione,  trovare nuovi spazi per la scuola, ridurre il numero degli alunni per classe, assumere docenti e Ata per garantire a scuola lo stesso distanziamento di due metri come per gli esami di Stato e non è stato fatto. Non si poteva (e non si può) continuare a dire che non ci sono i soldi: sospensione del Patto di Stabilità; 209 mld di Recovery Fund, di cui una 80ina a fondo perduto, anticipabili con il ricorso alla spesa pubblica in deficit. Non aver fatto tutto questo (e continuare pervicacemente a non farlo) è una scelta politica o è semplice incapacità amministrativa sia del governo centrale che dei sempre più potenti governatori regionali? Continuare a non farlo non determinerà un prolungamento della chiusura della scuola anche ben oltre il 3 dicembre e magari un’estensione ulteriore al primo ciclo?

Il governo e i governatori regionali oggi sono nudi di fronte ad un’opinione pubblica che misura l’assoluta impreparazione con la quale la politica ha portato il paese di fronte alla seconda ondata di emergenza sanitaria. Oggi che le piazze si riempiono della rabbia delle categorie che il virus sta riducendo sul lastrico, oggi che è chiaro a tutti che non “andrà tutto bene” e che il governo e i governatori non possono presentarsi come i padri protettori degli italiani, assistiamo a una corsa scomposta verso chiusure, dietro le quali non sempre è individuabile una razionalità scientifica e/o politica, come la situazione richiederebbe. Anzi, sembra che la preoccupazione principale, di fronte all’impotenza nel proteggere la nostra salute, sia mantenere il consenso; è qui, in questo vergognoso binario, che si innestano alcuni provvedimenti altrimenti incomprensibili. Come spiegare altrimenti la chiusura dei cinema, dei teatri, delle biblioteche? Come spiegare la sospensione anche di quel minimo di 25% di didattica in presenza alle superiori che avrebbe garantito un minimo di socialità ai ragazzi e un minimo di serietà alla scuola? Come spiegare che si può andare dalla parrucchiera e dal barbiere, ma non a scuola, nemmeno al 25%? Come è possibile distinguere tra il superfluo e il necessario, considerando scuole e attività culturali come attività a cui si può rinunciare senza fornire alcuna evidenza scientifica della loro responsabilità nella diffusione del contagio?

Il governo e le Regioni sono stati sordi rispetto alle richieste delle mobilitazioni di maggio giugno in 60 città e alla manifestazione nazionale del 26 settembre. Così come non hanno ascoltato le richieste di reddito e lavoro delle mobilitazioni di questi giorni per tutte le attività economiche colpite drammaticamente dalle chiusure. Reddito di emergenza generalizzato e spesa pubblica per acquisti di beni e servizi per potenziare sanità, scuola e trasporti possono essere gli obiettivi unificanti di una mobilitazione che imponga una svolta sociale alla gestione della crisi.

Non possiamo subire passivamente la lesione continuata del diritto all’istruzione. Lanciamo un appello a tutto il popolo della scuola pubblica per forme di mobilitazione territoriali che impongano la riapertura delle scuole.

Roma, 6 novembre 2020

ESECUTIVO NAZIONALE DEI COBAS- COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA