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LA MINISTRA DICE DI VOLER ELIMINARE LE “CLASSI POLLAIO” MA INTANTO IL MINISTERO TAGLIA LE CLASSI

12/05/2020

Da diverso tempo la Ministra Azzolina approfitta di ogni occasione pubblica per dichiarare la propria contrarietà alle classi pollaio e la sua disponibilità a eliminarle. Nell’attuale contesto emergenziale la situazione assume connotati ulteriormente preoccupanti, derivanti dalla necessità ineliminabile di quel “distanziamento” che è considerato l’unico presupposto sicuro per impedire il diffondersi del contagio da coronavirus. Chiunque conosca le nostre scuole dovrebbe sapere che, nel migliore dei casi, l’ampiezza delle aule – per i nuovi edifici e per attività normali – è parametrata sullo standard massimo di 1,96mq per alunno/a (d.m. Lavori Pubblici del 18/12/1975) e per classi che erano al massimo di 25 alunni/e. Sciaguratamente, abbiamo assistito nel tempo a un costante incremento del numero di alunni/e per classe, che oggi potrebbero arrivare fino a 31 (d.i. sugli organici per l’a.s. 2019/2020) mentre, ovviamente, le aule non sono state ampliate. Ebbene, di fronte a questa situazione cosa ci sarebbe da fare? Se ci fosse un minimo di coerenza tra ciò che si dice e quel che si fa, non dovrebbe essere difficile capirlo: diminuire il numero di alunni/e per classe e reperire ulteriore personale e spazi per svolgere la didattica in presenza.

Invece, le scuole stanno ricevendo in questi giorni comunicazioni dagli Ambiti Territoriali provinciali (gli ex Provveditorati) aventi per oggetto: definizione organico di diritto a.s. 2020/21 – allineamento dati alunni e classi, che nel linguaggio ministeriale significa: visto che non sono previste ripetenze avrete un numero di classi inferiore a quello che era stato previsto nella fase precedente alla pandemia. Infatti, recitano queste comunicazioni: “tenuto conto che, in virtù del Decreto Legge n. 22 dell’8 aprile 2020, non sono previste ripetenze.[…] È altresì necessario che le SS.LL. modifichino il numero di classi da autorizzare per l’a.s. 2020-2021 in relazione alla consistenza numerica relativa agli alunni come rideterminata”. E visto che la formazione delle classi avrebbe dovuto anche tenere conto della “serie storica dei tassi di non ammissione alla classe successiva” (art. 16, comma 1, lett. c. del d.P.R. n. 81/2009) risulta evidente – come per altro già minacciato dai Provveditorati attraverso canali diretti – che salteranno molte prime classi della scuola secondaria di I e II grado. Quindi, invece di consentire la ripartenza della didattica in presenza a settembre con aule meno affollate il Ministero preferisce approfittare dell’occasione per ridurre classi e organici e, nel frattempo, carica su docenti e ATA tutte le difficoltà legate al recupero delle attività che in quest’anno scolastico non si sono potute svolgere per effetto dell’attuale sospensione. Piuttosto che pensare soltanto a finanziare DaD e attrezzature digitali, costringendo docenti e famiglie a supplire a quanto il Ministero non vuole fare, è necessario ridurre il numero di alunni/e per classe, incrementare l’organico docente e ATA e avviare  interventi urgenti di edilizia scolastica sia per ristrutturare l’esistente sia per reperire nuovi spazi.

Esecutivo nazionale COBAS- Comitati di base della Scuola

Assemblea sindacale del personale della scuola di Bologna e Provincia

COSA FARE NELLA FASE FINALE DI QUESTO ANNO SCOLASTICO E PER L’AVVIO DEL PROSSIMO

giovedì 14 maggio 2020 dalle 16 alle 18, in videoconferenza. Per iscriversi vai al link o su www.cobasbologna.it

La chiusura delle scuole su tutto il territorio nazionale dal 4 marzo è stata affrontata con generosità e inventiva da parte del personale della scuola e con una forte confusione da parte del Ministero.

Un Ministero apparentemente più interessato a  iniziative propagandistiche che ad affrontare i tanti nodi problematici relativi alla conclusione dell’anno scolastico e, soprattutto, all’apertura del prossimo. 

I Cobas Scuola Bologna lanciano quindi un’assemblea per riprendere assieme un dialogo tra i lavoratori della scuola sulle seguenti tematiche:

  • L’esperienza della didattica a distanza
  • gli organi collegiali e la valutazione
  • lo svolgimento degli esami conclusivi
  • la riapertura delle scuole in sicurezza.

L’assemblea è aperta anche a genitori, studenti, studentesse e tutti/e coloro che volessero partecipare.

Concorso scuola per soli titoli. Contro il precariato a vita

Il 28 aprile sulla Gazzetta Ufficiale sono stati pubblicati i bandi dei concorsi per la scuola. Sulla necessità dell’indizione dei concorsi ordinari c’era una condivisione unanime mentre assurda ci appare la scelta forzata di voler far svolgere il concorso straordinario per la secondaria con prova selettiva da tenersi questa estate quando la stessa ministra non è neanche in grado, data l’emergenza coronavirus, di poter affermare con sicurezza se le scuole a settembre potranno riaprire. E secondo lei si potrebbero tenere i concorsi! La Ministra parla di classi pollaio e di un rientro a Settembre con distanziamento: come pensa di risolvere queste questioni se non ci saranno le assunzioni? Pensa davvero che qualcuno creda che i concorsi si faranno? Dove si dovrebbero tenere, visto che si prevedono migliaia di candidati? Quali saranno le commissioni giudicatrici?

Viene il sospetto (molto di più….) che sia un modo per non assumere nessuno a settembre.

E ancora una volta molti docenti vedranno allontanarsi la prospettiva della trasformazione del loro contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nonostante svariati anni di lavoro nelle istituzioni scolastiche garantendone il loro funzionamento. Ribadiamo invece che i precari con più di 3 anni di servizio hanno diritto all’assunzione a tempo indeterminato prevedendo per loro un canale parallelo per l’immissione in ruolo.

Ma non condividiamo neanche il modo inaccettabile con cui dovrebbe avvenire la selezione: 80 quiz a cui rispondere in 80 minuti! Sicuramente un test di abilità mnemonica e di reattività che punisce i docenti riflessivi, coloro che “pensano”.

La forzatura imposta dalla ministra rischia pertanto di far trovare le scuole a settembre con ulteriore carenza d’organico. Per evitare questo rischio sarebbe stato sufficiente indire il concorso straordinario per soli titoli e servizi. La domanda si sarebbe potuta presentare per via telematica, si stilava una graduatoria e ad agosto ci sarebbero stati tutti gli elementi certi per poter procedere all’assunzione.

La nostra Organizzazione Sindacale si mobiliterà pertanto affinché il Parlamento in sede di conversione in legge del decreto scuola apporti le suddette modifiche.

Nell’immediato pertanto i Cobas si riconoscono appieno nella petizione on line lanciata dai precari della scuola che ad oggi ha raccolto oltre 4.000 firme ed invitano a firmarla e a condividerla al seguente link:http://chng.it/NkjyHYZ8

Esecutivo nazionale COBAS – Comitati di base della Scuola

4 maggio 2020

COSA FARE NELLA FASE FINALE DI QUESTO ANNO SCOLASTICO E PER L’AVVIO DEL PROSSIMO

Gli allegati riguardano i seguenti argomenti:
• valutazione a distanza
• ricevimento genitori
• obbligo orario di lavoro
• utilizzo delle piattaforme e libertà di insegnamento

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Dal 4 marzo, giorno della sospensione dell’attività didattica su tutto il territorio italiano, a oggi, docenti e personale ATA hanno, con grande senso di responsabilità, mantenuto vivo il rapporto didattico-educativo con gli studenti. La sospensione dell’attività didattica in presenza ha offerto, però, un’opportunità del tutto insperata alla lobby della cosiddetta scuola dell’innovazione, a coloro che vogliono imporre l’e-learning come forma complementare ordinaria di funzionamento della scuola: la mattina attività laboratoriali e di gruppo, col docente in funzione di tutor o animatore, il pomeriggio le lezioni, su UDA standardizzate, in modalità a distanza e usando preferibilmente il software proprietario delle piattaforme delle grandi dell’hi-tech: Google, Amazon, Microsoft, ecc., con il docente ridotto a facilitatore, che introduce materiale digitale, somministra test e corregge elaborati standardizzati degli alunni. Nella mente dei pionieri della scuola a distanza e dell’innovazione didattica gli unici ostacoli al rinnovamento sono le ostinate resistenze della massa dei docenti “conservatori” e il digital divide. Il “Piano” che si sta profilando si annuncia in assoluta continuità con le controriforme che hanno funestato la scuola negli ultimi 25 anni, con l’obiettivo di impedire una formazione critica delle giovani generazioni, destinate, in larga misura, a lavori precari e ripetitivi. Coerentemente con questa logica, mentre nelle scuole si procede a forme di imposizione coatta della DaD, per tanti discenti il diritto all’istruzione viene semplicemente negato perché privi di mezzi tecnologici e/o di connessione; la negazione di tale diritto è ancora più marcata nelle situazioni estreme e disagiate come per le alunne e gli alunni diversamente abili, o nelle scuole carcerarie o per le bambine e i bambini dei campi rom.

È bene chiarire che non c’è, da parte nostra, nessun pregiudiziale rifiuto dell’uso della tecnologia a supporto della didattica. Il problema si pone quando la tecnologia esaurisce in sé il concetto di “innovazione” e, da strumento a supporto delle didattiche, si trasforma da mezzo in fine, in metodologia didattica in sé, in “nuova scuola”. La Didattica a Distanza è la riproposizione, in chiave tecnologica, della scuola della “trasmissione”, che Danilo Dolci considerava tipica delle società autoritarie e pre-democratiche e alla quale opponeva la didattica della “comunicazione”, in cui discenti e docenti si ritrovano insieme, fisicamente, nello stesso spazio concreto, con i loro corpi, i loro sguardi, i loro gesti, la loro prossemica, con la densità di detti e non detti che solo nella compresenza fisica può determinarsi. È per questi motivi, prima che intervenga qualsiasi altra considerazione, che noi riteniamo la DaD come un ripiego a cui si può ricorrere, provvisoriamente e per un tempo limitato, solo in una situazione di assoluta emergenza come quella che stiamo vivendo: altro che “grande opportunità”.

Mentre ci si accinge a far ripartire gran parte delle attività lavorative, il governo deve spendere ora tutte le energie per assicurare il ripristino delle “normali” attività scolastiche in condizioni di sicurezza nel più breve tempo possibile. E in questa chiusura di anno scolastico il governo deve studiare tutte le strade percorribili per consentire che gli esami finali, sia per la scuola secondaria di primo grado che per quella di secondo grado, si svolgano in presenza e in condizioni di sicurezza per candidate/i e docenti su tutto il territorio nazionale, “riducendoli” alla sola prova orale. Per tornare in classe, oltre a predisporre uno screening sanitario di tutte le comunità scolastiche e un’accurata sanificazione dei locali, occorrono:

a) una revisione dei criteri di formazione delle classi, con una drastica riduzione del numero degli alunni in ottemperanza alle norme di distanziamento previste dal decreto sulla sicurezza;

b)    un aumento degli organici attraverso l’assunzione di tutti i docenti con almeno 36 mesi di lavoro e l’assunzione del personale ATA che ha lavorato almeno due anni;

c) investimenti significativi per garantire interventi urgenti per modifiche, anche provvisorie, alla struttura interna degli edifici scolastici, con ampliamento delle aule e reperimento di ulteriori spazi, con l’impiego immediato di ogni edificio idoneo disponibile per accogliere le classi in condizioni di sicurezza.

Purtroppo, in tutto questo periodo di emergenza in molte scuole sono state imposte modalità di lavoro illegittime e inopportune o direttamente dai DS o attraverso delibere degli OOCC riuniti on line, una modalità di riunione, quest’ultima, non prevista prima della conversione in legge del d.l. n. 18/2020 approvata, con voto di fiducia, dalla Camera il 24/4/2020. Al di là della legge, il buon senso avrebbe dovuto far condividere a tutte/i l’idea che, in una situazione eccezionale come quella attuale, si sarebbero dovuti utilizzare strumenti e modalità non “regolari” solo per rispondere ai problemi dell’emergenza. Per questo proponiamo che oggi, all’interno degli OOCC, le discussioni e le conseguenti deliberazioni riguardino soltanto le problematiche relative alla conclusione dell’anno scolastico. Dunque, di cosa devono/possono occuparsi le riunioni degli OOCC on line?

1) Garantire il confronto sulla DaD, nella consapevolezza che ogni docente, in nome della libertà di insegnamento e degli stessi Decreti Legge, ha assoluta autonomia nella organizzazione del lavoro (tempi, scelta modalità DaD, verifiche, ecc.).

2) Garantire il confronto sul tema della valutazione, tenendo conto che tutti gli studenti saranno ammessi all’anno successivo e/o agli esami finali e che nessuna valutazione di tipo sommativo potrà essere effettuata durante tutto il periodo della sospensione dell’attività didattica.

3) Formazione delle Commissioni esaminatrici per gli Esami di Stato.

4) Individuare (proposta da confermare “in presenza” all’inizio del nuovo anno scolastico) le forme di recupero da attuare nel mese di settembre, per le quali va contestualmente richiesto al Governo un adeguato impegno economico.

Ricordiamo che il dirigente scolastico non ha alcun potere autoritativo e deve agire solo ed esclusivamente applicando la normativa vigente, il CCNL e le delibere degli OO.CC. Inoltre, il d.l. n. 22/2020 ha conferito alla Ministra dell’Istruzione una delega speciale che dovrà intervenire, tra l’altro, sulle problematiche relative alla conclusione dell’anno scolastico; riteniamo sbagliato che un Collegio docenti si esprima prima di conoscere le linee decise dal Ministero. È necessario dunque affrontare i prossimi Collegi Docenti “attrezzati” in modo da sfruttare al massimo le prerogative degli Organi Collegiali, impedire qualunque forma di disciplinamento e standardizzazione delle pratiche didattiche e lo svilimento del dibattito democratico e della istituzionalizzazione di pratiche deleterie.

Esecutivo Nazionale COBAS – Comitati di base della Scuola

27 aprile 2020

In allegato alcune indicazioni pratiche, supportate normativamente, sul comportamento da tenersi in merito alle questioni che più frequentemente vengono segnalate dalle scuole. Consigliamo in via prioritaria di presentare mozioni alternative a quelle dei DS invitando i colleghi a sostenerle con il loro voto; nel caso in cui le nostre mozioni non raggiungessero la maggioranza dei voti, si può utilizzare l’opzione di minoranza, prevista dalla normativa, che permette di sottrarsi agli obblighi deliberati dalla maggioranza; le opzioni di minoranza possono essere individuali o sottoscritte da gruppi di docenti, facendo metterle a verbale coi nominativi degli aderenti.

Gli allegati riguardano i seguenti argomenti:

    •       valutazione a distanza

    •       ricevimento genitori

    •       obbligo orario di lavoro

    •       utilizzo delle piattaforme e libertà di insegnamento


Allegati

La scuola primaria a confronto con la contemporaneità di Gianluca Gabrielli

di Gianluca Gabrielli pubblicato qui

Introduzione

Ho scelto di “tradire” in parte i termini cronologici proposti nel titolo dei Cantieri della didattica (1948-2018) e mi sono riferito ad un periodo più ampio, considerando la contemporaneità pressapoco estesa a tutto il Novecento, cioè agli ultimi 120 anni. La ragione è duplice: da una parte ritengo che, riferendosi ai bambini e alle bambine che iniziano a costruire la loro immagine del passato, il riferimento temporale ampio sia più funzionale al lavoro didattico; dall’altra, le trasformazioni normative degli ultimi anni hanno reso problematico in questo livello scolastico l’insegnamento dell’intera storia contemporanea, questione che è quindi opportuno affrontare in modo complessivo.

1. La «storia del Novecento» negli ultimi venticinque anni di riforme

Dal secondo dopoguerra al 1985

Nel secondo dopoguerra la scelta, che era stata spinta all’estremo dal fascismo a fini propagandistici, di insegnare a scuola la storia fino al presente venne capovolta dalla nuova classe dirigente repubblicana, timorosa di far affrontare a scuola le perturbanti vicende del Ventennio e le origini conflittuali e laceranti della Repubblica. Così i Programmi Ermini (1955) suggerivano come terminus ad quem di «dare un maggior risalto al Risorgimento nazionale [leggi: Grande guerra], nell’ultimo anno del ciclo»[1].

Questi rigidi parametri cronologici che escludevano la storia recente iniziarono ad essere sgretolati negli anni successivi da esperienze provenienti “dal basso”. Da una parte le iniziative prodotte negli anni Sessanta dagli Istituti della Resistenza, anche se pensate soprattutto per le scuole secondarie[2]. Dall’altra le numerose esperienze condotte nel decennio attorno al Sessantotto da gruppi (minoritari) di maestre e maestri, in gran parte afferenti al Movimento di cooperazione educativa, che fecero irrompere i temi dell’«attualità», il fascismo e la Resistenza, in pratiche didattiche innovative spesso “costruite” direttamente dentro le scuole.

Fu però solamente con i nuovi Programmi del 1985 che le innovazioni – lentamente penetrate anche in molti sussidiari – ebbero un riconoscimento ufficiale. Nel testo ministeriale veniva suggerito l’uso di una «periodizzazione essenziale», un «quadro cronologico a maglie larghe» nel cui ambito affrontare gli avvenimenti principali della «storia generale»: «a partire dal terzo anno della scuola elementare, si avvierà uno studio che progressivamente porti il fanciullo dalla interpretazione della storia del suo ambiente di vita alla storia dell’umanità e, in particolare, alla storia del nostro Paese», con uno «specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione dell’unità nazionale, nonché, alla conquista della libertà e della democrazia»[3].

Dal decreto sul Novecento alle riforme dei cicli

Qualcosa di radicalmente nuovo accadde nel 1996 quando il Dm 682 del ministro Giovanni Berlinguer ridefinì la collocazione dei contenuti all’interno dei programmi di tutti i gradi scolastici per valorizzare la storia del Novecento. Ciò produsse anche nella scuola elementare un richiamo a tutto il ventesimo secolo, estendendo quindi i termini del curricolo ministeriale oltre il 1945. Nel testo del decreto il riferimento non era ad una classe in particolare  ma genericamente al secondo ciclo (terza-quinta): «Nella scuola elementare i docenti del secondo ciclo introdurranno la conoscenza dei più importanti eventi dell’ultimo secolo, tenendo presenti le capacità e i modi di apprendimento propri degli alunni e l’esigenza di un continuo riferimento alla concreta realtà in cui essi sono inseriti»[4]; nella pratica l’applicazione avveniva nel secondo quadrimestre della quinta classe. Quindi la situazione nell’ultimo lustro del secolo scorso era la seguente: «storia generale» affrontata di fatto tra la terza e la quinta classe, scansione cronologica a maglie larghe senza imposizione di specifici contenuti, invito a trattare la contemporaneità superando il limite del 1945.

Su questa situazione si innestò il primo tentativo di riordino dei cicli, promosso dal ministro Berlinguer e proseguito da Tullio De Mauro. Il progetto non andò a buon fine, disapplicato dal successivo governo, ma le ipotesi formulate (e il grande dibattito che suscitarono)[5] permettono di porre l’attenzione su molti aspetti, alcuni in seguito caduti, altri ripresi – pur con differenze – nei successivi interventi ministeriali.

L’ipotesi prevedeva una riorganizzazione delle scuole elementari e medie, unite e contratte a 7 anni. Coerentemente con questa riorganizzazione dei docenti la riforma prevedeva una nuova scansione dei curricoli. Per quanto riguarda la storia i sette anni venivano riorganizzati in 2+2+3, con i primi quattro anni affidati alle maestre e ai maestri. Per loro era previsto nel secondo biennio un lavoro più prettamente sociologico sui «quadri di società», intesi come palestre per una costruzione della conoscenza degli elementi di base delle diverse forme storiche di società (nell’ordine: società dei cacciatori-raccoglitori, degli agricoltori-allevatori, società industriali). Gli elementi così esperiti sarebbero poi divenuti utili come prerequisiti di conoscenza nella fase successiva che prevedeva lo studio della «storia generale», affidato in un unico ciclo ai docenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado[6].

Il nuovo ministero di Letizia Moratti bloccò l’applicazione della riforma Berlinguer-De Mauro e iniziò a lavorare su un nuovo progetto. Veniva annullata la riduzione di un anno del ciclo di base, mentre nella scansione dei contenuti veniva confermata l’idea, introdotta da Berlinguer-De Mauro, della verticalizzazione del curricolo di storia, ora assegnato però in parte alla scuola elementare (ora primaria) e in parte alla scuola secondaria di primo grado.

Veniva inoltre riscritto il testo con specifiche scansioni dei contenuti relative alle classi. Nel primo biennio (classi seconda e terza) iniziava lo studio della «storia generale» e tra i contenuti di conoscenza previsti comparivano «La terra prima dell’uomo e le esperienze umane preistoriche» fino al «Passaggio dall’uomo preistorico all’uomo storico nelle civiltà antiche». Nel secondo biennio (quarta e quinta) lo studio proseguiva cronologicamente fino al nuovo terminus: «la civiltà romana dalle origini alla crisi e alla dissoluzione dell’impero» e «la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo»[7].

Anche queste Indicazioni non ebbero ampia applicazione. Il nuovo avvicendamento governativo produsse una loro riscrittura (ministero Giuseppe Fioroni) e il nuovo testo entrò in vigore nel 2007 mantenendo le scansioni organizzative tra primaria e secondaria di primo grado decise da Moratti[8]. Per quanto riguarda la storia le nuove Indicazioni prevedevano che «La conoscenza sistematica e diacronica della storia verrà realizzata fra il secondo biennio della primaria e la fine della secondaria di primo grado», quindi posticipavano l’inizio dello studio della storia generale alla quarta classe. Tra i traguardi al termine della quinta classe veniva prevista la conoscenza degli «aspetti fondamentali della preistoria, della protostoria e della storia antica».

Verso le Indicazioni 2012

Nel 2012 venivano pubblicate nuove Indicazioni[9], attualmente in vigore. Il testo della bozza venne sottoposto ad una consultazione di carattere nazionale[10] rivolta sia alle scuole sia ad altri organismi qualificati come le Associazioni professionali della scuola. La consultazione prendeva in considerazione anche gli elementi del curricolo di storia, in particolare la verticalizzazione del curricolo tra scuola primaria e secondaria di primo grado, che abbiamo visto affermarsi come cornice comune (pur con diverse articolazioni) tra i diversi progetti di riforma a partire da Berlinguer-De Mauro, ma che aveva suscitato un grande dibattito tra i docenti. In particolare tale aspetto era l’obiettivo polemico di una raccolta di firme partita nell’ottobre 2007 che difendeva la ripetizione ciclica della «storia generale» nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, sostenendo che «l’astrazione, la simbolizzazione, il modo di studiare, le possibilità di approfondire di un bambino sono profondamente diversi da quelli di un ragazzino, e proprio per questo è necessario un ritorno ciclico a livelli più approfonditi, per ripensare e scoprire nuovi orizzonti nelle proprie conoscenze e nelle proprie idee»[11].

Così nella domanda numero 15 della consultazione organizzata dal Ministero si chiedeva se ci fosse accordo o meno sul fatto che «l’impostazione di storia conferma, con alcune precisazioni importanti, il percorso cronologico unico tra scuola primaria e secondaria di primo grado». Il 47,5 % delle risposte andò sull’opzione «È una scelta condivisibile, perché consente di distendere i contenuti e di concentrarsi sulla qualità delle metodologie e degli apprendimenti»; ma l’area del dissenso era ampia (anche tenendo conto delle modalità di raccolta dei dati) e – nel complesso – maggioritaria: il 32,0 % sostenne che «Sarebbe opportuno ritornare a due percorsi distinti (con arco cronologico ripetuto alle elementari e alle medie), perché più realistico e vicino alle nostre consuetudini didattiche»; il 20,5 % sostenne che «Bisognerebbe avere più flessibilità nella scansione temporale lasciando una maggiore autonomia alle scuole, per sfruttare meglio occasioni, opportunità, motivazioni degli allievi»[12].

Il risultato però venne considerato dal Ministero sufficiente a scegliere la formula dell’unico ciclo tra primaria e secondaria inferiore, con la «fine dell’Impero romano d’Occidente» come terminus ad quem temporale della primaria, lasciando tuttavia la «possibilità di apertura e di confronto con la contemporaneità».

Il recente (2018) intervento ministeriale Indicazioni nazionali e nuovi scenari non modifica il quadro generale; l’invito nell’ambito della disciplina storia ad «educare alla memoria, con una attenzione tutta particolare alle vicende del Novecento, comprese le pagine più difficili della nostra storia nazionale» sembra più riferito ai docenti della scuola secondaria di primo grado, anche se sicuramente costituisce un segnale di attenzione alla contemporaneità che va colto e valorizzato[13].

Quindi ricapitolando si può affermare che negli ultimi 25 anni si sono giocate molte battaglie su quale storia fare insegnare ai docenti delle scuole primarie (già elementari). Inizialmente – pur in maniera disorganica – il terminus ad quem per alcuni anni è stato avvicinato fortemente al presente (1996). Poi è divenuta dominante la convinzione che una verticalizzazione dell’insegnamento –  riducendo il numero di volte in cui si sarebbe insegnata la «storia generale» – sarebbe stata la chiave di volta della riforma. Questa idea è stata proposta già nel 2001 ed è divenuta norma organizzativa e curricolare tra il 2004 e il 2007, e nella sua forma attuale prevede che nella primaria (nell’ultimo biennio) inizi l’insegnamento della storia generale dal paleolitico alla fine del mondo antico. Aperture strutturali di spazi per una didattica della storia del Novecento non ne sono rimasti, se non nella formula generica del «confronto tra quadri storico-sociali diversi, lontani nello spazio e nel tempo» o nell’insegnamento trasversale (ma non declinato storicamente) di Cittadinanza e Costituzione[14].

2. Come è cambiata la didattica della storia nella scuola reale

La pratica didattica nelle classi non fa riferimento solamente ai programmi e alle scelte organizzative del ministero ma è il risultato della complessa interazione di numerosi elementi: le consuetudini dei docenti, le scelte degli editori e degli autori dei testi[15], le spinte provenienti dall’amministrazione (assetti organizzativi, contrattuali, formativi) e dal territorio (risorse culturali, spinte politiche). Rispetto all’insegnamento della storia quindi è utile analizzare sommariamente alcuni altri elementi che hanno contribuito in maniera significativa in questi ultimi 25 anni a configurare la situazione presente.

I test Invalsi e la ridefinizione della gerarchia tra le materie

L’introduzione dei test Invalsi nella scuola italiana ha costituito una pseudo-riforma che si è progressivamente estesa in tutti i gradi scolastici ma che nella scuola primaria ha avuto il terreno iniziale, la maggiore presenza nel tempo e – a parere di chi scrive – il maggiore effetto sulla trasformazione del curricolo reale, coinvolgendo indirettamente anche la didattica della storia.

Formalmente obbligatori dal 2004, i test coinvolgono tutti gli alunni di due classi della scuola primaria (attualmente le seconde e le quinte) per misurare le abilità in comprensione del testo scritto e in matematica. La rilevazione dei test funziona ormai da anni a pieno regime e viene utilizzata per formulare un giudizio sull’efficacia didattica degli istituti (e evidentemente anche dei docenti). Il teaching to test è quindi cresciuto rapidamente, entrando strutturalmente nelle pagine dei libri di testo e occupando una grossa fetta di mercato editoriale scolastico che offre prodotti specifici per l’ “allenamento”.

Questa affermazione dei test ha quindi mutato la sostanza della didattica in classe. La storia, insieme alla geografia, alle scienze e alle educazioni, è slittata nella percezione dei docenti e dei dirigenti ad uno status inferiore rispetto all’italiano e alla matematica (e all’inglese, da due anni sottoposto anch’esso ai test). Questo mutamento di percezione si è tradotto anche in un cambiamento delle proporzioni tra la quantità di tempo-scuola dedicato alle diverse discipline insegnate ed apprese. Non esistono studi specifici, ma dall’interno della scuola ciò appare evidente[16].

La verticalizzazione del primo ciclo

Anche su questo tema non esistono – credo – studi. Scrivo quindi sulla base dell’osservazione informale che ho potuto condurre in questi anni sulle consuetudini didattiche delle colleghe e dei colleghi di varie scuole. L’impressione è che anche questa ristrutturazione del curricolo che è emersa nel primo decennio del 2000 abbia prodotto una diminuzione di impegno dei docenti della primaria rispetto alla materia Storia. Provo ad articolare e a dare delle motivazioni a questa ipotesi.

I docenti della scuola primaria non hanno una preparazione specifica nel loro curricolo di studi per l’insegnamento della storia, né per quello di altre discipline. In alcune università esistono cattedre di didattica della storia e quindi si possono seguire corsi di quel tipo, ma è raro. Quasi mai gli esami di storia previsti nel curricolo universitario prevedono momenti di riflessione o laboratori sulla didattica. Ovviamente in passato tale preparazione specifica era ancora meno presente nel curricolo di studi (fino al 2001 era titolo abilitante il diploma di maturità magistrale).

Inoltre bisogna avere ben presente che un insegnante della scuola primaria deve essere in grado di insegnare tutte le discipline declinate per cinque diverse età degli alunni, dai sei agli undici anni. Questa dimensione generalista viene solo parzialmente limitata nel corso della carriera quando il docente riesce a stabilizzarsi in un plesso e a “specializzarsi” – per così dire – in tre-quattro discipline. Gli aggiornamenti sulla didattica quindi non possono che avere un carattere molto generale, raramente accade che un insegnante si aggiorni sulla storiografia relativa ad esempio agli Egizi (che pure è un contenuto centrale nella nuova strutturazione del curricolo), poiché risulta più utile seguire formazioni su tematiche trasversali o metodologiche che possano avere un uso scolastico non limitato.

Fra teoria e realtà

L’idea di chi ha proposto e introdotto la verticalizzazione evidentemente si fondava sull’ipotesi che una riduzione del periodo di «storia generale» da affrontare da parte dei docenti della primaria si traducesse in un aumento di competenza specifica su quel periodo. In realtà più si specializza un insegnamento, più sarebbe necessaria una conoscenza approfondita della materia per poterne preparare una buona articolazione didattica. Mentre nella vecchia formula in tre anni, dalla terza alla quinta classe, il docente poteva (doveva) scegliere gli argomenti principali attingendo a quelli più conosciuti poiché distribuiti nei circa cinquemila anni di «storia generale», con la riforma si trova a dover organizzare una didattica all’interno del mondo antico per ben due anni (in realtà tre, poiché i sussidiari continuano a far partire lo studio della storia generale in classe terza, seguendo la consuetudine che si era affermata prima del 2000). In questo modo sarebbe indispensabile una conoscenza più approfondita della storia romana, o greca, o egizia, o quelle della valle dell’Indo e della Cina, per riuscire a trattarle didatticamente per varie settimane riuscendo a mantenere un elevato interesse di alunne e alunni. Ma questa conoscenza specialistica è in contraddizione con la fisionomia generalista che caratterizza la maestra e il maestro. Nella pratica questa trasformazione della didattica non si verifica quasi mai, è molto più facile che una volta affrontate le generali conoscenze che sono suggerite dai sussidiari, i docenti decidano di dedicare il tempo rimanente ad altre discipline, o eventualmente alla preparazione di quei test Invalsi sulla cui base scatta la valutazione della loro efficacia didattica.

In passato quando l’arco temporale della storia generale era completo, l’insegnante era obbligato ad una selezione dei temi principali, presentati non per giungere ad una comprensione approfondita ma per inaugurare una prima conoscenza sulla base del profilo psicologico e culturale di alunni di quell’età, un primo approccio a temi che avrebbero costituito uno scheletro da riaffrontare con ottica diversa (e attraverso sensibilità e strumenti diversi degli allievi e delle allieve) nei gradi successivi. Per un docente era più facile articolare in tre mesi la didattica sull’invenzione della stampa a caratteri mobili, sulla scoperta (conquista) dell’America, sulla rivoluzione industriale e sulla rivoluzione francese piuttosto che lavorare tre mesi sulla civiltà greca senza scadere nel nozionismo.

I sussidiari

I testi proposti alle classi negli ultimi anni si sono moltiplicati in numero e pagine. Ad esempio in una quinta classe arrivano al bambino o alla bambina dai cinque ai nove volumi tra contenuti, eserciziari, atlanti e altro materiale didattico. La storia spesso è suddivisa in due o tre volumetti, nella seconda parte sono raccolte schede di verifica, test stile Invalsi, accenni a Cittadinanza e Costituzione, proposte di «compiti di realtà», link a percorsi sul web. Ovviamente i materiali sono per l’80 % legati al curricolo di «storia generale», le altre parti sono dedicate a riflessioni sulle tipologie di fonti o – ed è ciò che ci interessa in questo articolo – a richiami al presente. Soprattutto è nelle finestre relative a Cittadinanza e Costituzione che gli autori colgono l’occasione per parlare di tematiche di storia contemporanea. Scorrendo una quindicina di manuali proposti quest’anno[17], e seguendoli tra quarta e quinta classe, emerge che le finestre (due in media per manuale) sono legate al significato della Costituzione (quasi sempre collegata con le tavole di Hamurrabi), alla Democrazia (associata ad Atene e alle differenze tra democrazia ateniese e italiana contemporanea), alla condizione delle donne (associata alla società della Grecia antica, dei Cretesi o dei Romani), alla Shoah (associata immancabilmente in quarta classe alla presentazione del popolo ebraico nell’antichità), al ruolo delle biblioteche (associato alla biblioteca di Ninive), alle olimpiadi… Queste finestre servono a presentare il presente come diverso dal passato, non come il prodotto di un divenire storico.

Ad esempio: le finestre sulla Costituzione italiana non accennano quasi mai alla sua origine nella lotta contro il fascismo, ma presentano esclusivamente alcuni suoi articoli. Chi legge non riesce a cogliere la connessione con il tempo in cui essi furono emanati e neppure le motivazioni da cui presero origine, producendo l’impressione di una raccolta di principi autogeneratisi e non il prodotto di un processo storico.

Anche la trattazione della Shoah si apre dal nulla, e anche laddove, nei casi più virtuosi, vi siano cenni di contestualizzazione storica, le frasi scelte sono spesso reticenti, quasi cercassero di anestetizzare l’effetto nel lettore, privilegiando la dimensione morale e raccontando la storia del popolo ebraico quasi come un “destino” che si ripete da un’epoca all’altra.

Gli Istituti della Resistenza

Gli stessi Istituti che nello scorcio del secolo scorso erano divenuti importanti punti di riferimento per le scuole elementari relativamente alla storia della prima metà del Novecento, nel nuovo contesto privo della storia contemporanea hanno perduto quel rapporto privilegiato con le scuole. Certo, gli Istituti hanno una presenza sul territorio a macchia di leopardo e in nessun caso possono sostituirsi al lavoro autonomo nelle classi, ma la loro funzione di catalizzatori della didattiche sul Novecento era radicato e in crescita alla fine del secolo. Questo ruolo è venuto indebolendosi rapidamente con la nuova articolazione del curricolo, resistendo solo in situazioni particolari in virtù di legami personali o pratiche consolidate[18].

3. Qualche proposta sul presente

Nel contesto sopra descritto, come promuovere il tema della contemporaneità nella scuola primaria e come fare in modo che la sua trattazione risulti storiograficamente produttiva per alunni e alunne?

Lo sfondo integratore

Il primo problema da affrontare è la difficoltà a costruire degli interventi sugli ultimi 120 anni senza avere la possibilità di collocare questi avvenimenti in uno sfondo generale. Mi pare cioè decisivo e indispensabile lo sforzo di costruire progressivamente nelle classi uno sfondo integratore – materialmente una linea o mappa del tempo fabbricata insieme e sempre appesa in classe – che a ritroso parta dalla foto del gruppo classe in prima e che disponga gli avvenimenti emersi nelle discussioni secondo una datazione relativa, per poi scegliere due-quattro avvenimenti periodizzanti che siano utili a dare coordinate ad ogni nuovo evento citato o affrontato. Anche la storia ha bisogno di una mappatura di riferimento e le linee del tempo sono le sue specifiche coordinate: si possono costruire concretamente con i bambini a partire da una discussione su quali avvenimenti, popoli, oggetti essi ritengono facciano parte del «passato». Ad esempio, in una seconda non c’è bisogno di distinguere la prima e la seconda guerra mondiale, è l’età delle guerre in Europa che conoscono e che quindi deve essere visibile (l’età dei bisnonni, l’età degli aerei da guerra); nel corso dello sviluppo della didattica, questa trentina di anni di conflitti verranno sciolti e precisati, datati, riempiti di racconti e immagini[19].

In questo modo quando accade di ricordare o nominare la Shoah si potrà progressivamente collocarla dopo qualcosa e prima di qualcos’altro. Spesso da adulti non riusciamo a comprendere quanto siano utili ad un bambino o una bambina questi richiami per produrre un primo inquadramento di un avvenimento e in parte per farne maturare una prima provvisoria comprensione.

Il calendario civile

Abbiamo visto che la formulazione delle Indicazione del 2012 oltre ad essere non vincolante nei contenuti, lascia aperte possibilità per confronti, aperture verso il presente e la storia recente.

È in questo spazio ristretto che ci troviamo oggi ad operare per mantenere un collegamento della gioventù che ha fino ad undici anni[20] con la storia degli ultimi centoventi anni. Sia chiaro: un collegamento minimo allestito e gestito dalla scuola, perché invece il discorso pubblico produce abbondanti comunicazioni sul Novecento che però non vengono filtrate e non sono prodotte e articolate con intento didattico. Quello che manca prioritariamente è quindi un quadro in cui i bambini possano provvisoriamente collocare, comprendere e collegare le informazioni frammentarie ed episodiche che giungono da televisione e web sommergendoli.

In questo contesto si colloca la pratica dell’intervento didattico di tipo storico-civico a scuola seguendo il cosiddetto calendario civile. Nel 2017 Alessandro Portelli ha pubblicato Calendario civile, un’antologia di testi riferiti a date significative «per una memoria laica, popolare e democratica», come recita il sottotitolo, del passato nazionale, affidate a studiosi e corredate di documenti.[21] La proposta di Portelli è rivolta alla società civile, ma è in sintonia con qualcosa che già stava accadendo nella scuola primaria per ragioni in parte coincidenti, in parte come risposta all’azzeramento della storia contemporanea emerso dal vortice delle riforme. Nelle scuole infatti il calendario civile è stato il canale principale attraverso il quale continuare a parlare della storia recente ed ha fornito la formula per portare in classe principi condivisi.

Alcune date si sono affermate più di altre. La data immancabile è il 27 gennaio: la Shoah entra regolarmente nella scuola primaria e ha assunto la valenza di evento cardine del Novecento. La seconda data – che segue però ad una grande distanza – è il 25 aprile (e le sue articolazioni locali) che tra l’altro, essendo festa, ricorre a scuola chiuse. Altri temi scaturiscono da anniversari (ad esempio negli ultimi anni la Grande guerra).

Anche la pratica didattica del calendario civile deve però confrontarsi con problemi sostanziali. Prima di tutto, quando questi temi rientrano nel circuito della didattica, quasi mai vengono trattati storicamente. Essi diventano un’occasione per vivere un rito di etica civica, ma l’episodio che ne è all’origine e a cui rimandano non ha quasi mai l’agio di divenire narrazione e analisi storica, di caricarsi di complessità, di dispiegarsi nel tempo per proporsi alle classi come un percorso didattico articolato, con dei precedenti, delle motivazioni, delle conseguenze.

Inoltre, non bisogna dimenticare che il problema di contestualizzazione è anche geografico, seppure emerge in questo ambito con minore evidenza; infatti la riorganizzazione del curricolo ha verticalizzato anche la geografia, e la scuola primaria ha come ambito di studio prioritario l’Italia fisica e amministrativa. Mentre la consuetudine del passato proiettava lo sguardo in quinta classe sull’Europa e sui continenti extraeuropei, attualmente questo non è richiesto. Banalmente, il rischio è quello – ad esempio – di trattare la Shoah che prende forma in Europa nel contesto di una guerra mondiale senza avere costruito un background né sull’Europa né sugli altri continenti.

Quindi anche l’uso del calendario civile costituisce una strada che può essere percorsa e incrementata, ma che nella scuola primaria nasce con dei limiti oggettivi e che necessita di alcune attenzioni per evitare di cadere nella ritualità e nella celebrazione senza riuscire a giungere alla storia.

Occorre prima di tutto scegliere, senza farsi trascinare dalla voglia di seguire molte date e dalla paura di perdere le scadenze. Ogni data affrontata in un’unica occasione diviene inevitabilmente uno spot, un episodio che anche noi adulti facciamo fatica a collocare nel divenire. è nella capacità di contestualizzare un avvenimento che ci si gioca la differenza tra celebrazione e ricostruzione storica. Occorre non rincorrere tutte le scadenze ma scegliere quelle ritenute più interessanti o motivanti, dedicarvi un periodo ampio di tempo e quindi di ore di didattica; analizzare il prima, analizzare il dopo, cercare spezzoni di film, di interviste che permettano di riaffrontare il tema in forme diverse, cercare documenti rappresentativi da analizzare, aprire spazi di discussione improvvisati quando giungono sollecitazioni dai bambini e dalle bambine. Sono queste le espansioni che possono permettere anche in una quarta o quinta di scuola primaria di affrontare una data del calendario civile senza rimanere incastrati nella retorica.

Quali sono le date – i temi – che possono rientrare in questa proposta?

Il 25 aprile

Il fulcro del calendario civile del Novecento è certamente – per noi oggi – il 25 aprile[22]. Nessuna data assume nella scuola primaria tale potenzialità di connettere le altre date, tanta capacità di aprire discorsi che tengano insieme molti temi come il fascismo, la Resistenza, l’Europa, l’imperialismo, la possibilità di una declinazione locale, le memorie familiari…

Rispetto alle numerose esperienze didattiche proposte dalla rete degli istituti storici, si può aggiungere  una suggestione a partire dalla diversa composizione delle nostre classi: facciamoci spingere dai diversi background culturali presenti a raccontare le storie anche di chi non era italiano e ha combattuto e magari è morto in Italia, adesso che abbiamo la possibilità di guardare con occhi diversi alla composizione delle truppe che hanno combattuto nella penisola e abbiamo l’occasione di esplorare il planisfero dribblando l’italocentrismo del curricolo di geografia. Perché questa guerra era mondiale? Andiamo a cercare i paesi coinvolti, i colonizzati che dovettero combattere, i partigiani che avevano studiato nelle scuole fasciste e quelli che avevano passato l’infanzia da tutt’altra parte: dove? Mettere le loro immagini o i loro nomi in un grande planisfero può aiutare i giovani delle nostre classi a vedersi nel mondo e a vedere quanto mondo c’era nella guerra mondiale (come facciamo quando tocchiamo con mano la globalizzazione dei mercati incollando le etichette «made in» delle nostre magliette, degli smartphone e della frutta), ma può aiutare anche noi docenti ad arricchire attraverso l’esperienza didattica l’immagine italocentrica con cui abbiamo appreso questa pagina centrale della nostra storia.

27 gennaio

La Shoah ha sicuramente assunto negli ultimi anni una forza comunicativa ampia e spesso risulta l’unica apertura alla contemporaneità praticata in classe nella scuola primaria. La crescita di conoscenza – anche indiretta – che questo processo ha portato nelle nostre classi è preziosa, ma occorre che gli insegnanti sappiano proporsi come filtro delle molteplici informazioni e stimoli che arrivano dai mass media, trasformando questa grande attenzione per l’argomento in percorsi didattici utili ad affrontarne la comprensione nel contesto della storia del secolo scorso. Il rischio di considerare questo tema come risolutivo nella comprensione del Novecento è quindi forte, almeno altrettanto quanto il rischio di vederlo “celebrato” in una narrazione edulcorata, irrelata dalla storia e consumata completamente il 27 gennaio. Anche qui l’unico antidoto è la storia, la capacità degli insegnanti di usare la popolarità del tema e della comunicazione stereotipata su di esso per riorganizzarlo in classe collegandolo agli altri elementi della storia coeva, ai precedenti, alla guerra, alla conoscenza  dell’ebraismo, dell’antisemitismo e del razzismo.

8 marzo

La questione di genere è un tema di grande importanza cui è possibile dare una declinazione anche storiografica. Sappiamo con quale forza spesso il mondo della comunicazione sommerge i bambini e le bambine di stereotipi sessisti. Proprio per questo già dalla scuola dell’infanzia le riflessioni collettive e i confronti sull’argomento possono accompagnare la vita quotidiana nelle classi mettendo criticamente in discussione gli stereotipi. Risulta quindi utile provare a fornire stimoli anche storiografici a queste discussioni e dare una dimensione diacronica al racconto della parità dei diritti. Sembra un aspetto banale, ma significa mostrare che l’identità di genere e la costruzione dei diritti non sono aspetti di natura ma di storia, che hanno a ché fare con il potere e che sono stati oggetto di conflitti. La stessa storia della giornata dell’8 marzo, con i suoi intrecci tra origini mitiche e origini storiche sembra fatta apposta per essere raccontata in una scuola primaria, nella quale il compito precipuo è proprio quello di distinguere mito e storia, senza però togliere al mito il suo fascino e il suo valore storico. Le attività possibili sono svariate. Ad esempio lavorare sull’immagine che i libri di testo o i fumetti nel passato davano dei rapporti di genere , aprendo piccoli laboratori di analisi e di ricerca delle fonti, perché lavorare sui materiali prodotti per i bambini ha il vantaggio di orientare il lavoro di decodifica e interpretazione su contenuti familiari alla percezione degli alunni.

1° maggio

La tendenza recente della didattica elementare all’infantilizzazione dei temi, combinata alla sostituzione del modello del consumatore a quello del lavoratore, hanno prodotto un universo infantile e scolastico in cui il consumo appare svincolato dal lavoro e dalla produzione. Riconnettere il mondo delle merci ai processi che sono alla base della loro produzione (sempre più globalizzata) e alle persone in carne ed ossa che con il loro lavoro e la loro fatica le producono è un compito immane ma doveroso. La giornata del 1 maggio può sicuramente diventare l’occasione per organizzare interviste e risalire passo passo a ritroso nel tempo, dal presente terziarizzato agli anni del boom e anche più indietro, sfiorando dimensioni come quelle del denaro (come retribuzione) e delle differenze di classe sociale che – a dispetto della volgata dominante – continuano ad essere parametri importanti per comprendere la realtà.

3 ottobre

Venticinque anni fa nelle scuole italiane i cosiddetti “stranieri”, cioè studenti privi di cittadinanza italiana, costituivano lo 0,7 % del totale; oggi le statistiche ci dicono che questa percentuale è salita ad uno su dieci circa[23]. In molti casi si tratta di stranieri sui generis, perché l’Italia è ancora inchiodata ad una legge sulla cittadinanza legata allo ius sanguinis tanto che molti bambini nati e cresciuti in Italia risultano sono però giuridicamente stranieri se i loro genitori sono tali. Le cittadinanze di questi nostri allievi e allieve sono le più varie: Europa dell’est, Asia, Africa, Sudamerica, il mondo finalmente sta entrando nelle nostre aule. Uno studente su 10 ha background culturali misti, ha genitori e nonni che hanno vissuto i conflitti della decolonizzazione o le oppressioni del socialismo reale, e bisnonni che si difendevano (o negoziavano le briciole) dall’oppressione coloniale occidentale di Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania, Italia…[24].

Questo processo di cambiamento ha già una data di riferimento: quella del 3 ottobre, che ricorda il naufragio a Lampedusa, nel 2013, di una carretta del mare in cui morirono 368 persone, in gran parte eritree. Che sia in ottobre, oppure il 1° marzo (che per alcuni anni è stato il giorno dello sciopero dei migranti), oppure in un qualsiasi periodo dell’anno, è indispensabile portare in classe questo tema – diseguaglianza nel mondo e migrazioni – ed è importante declinarlo anche storicamente, raccontando degli italiani e dei polacchi in America, degli italiani in Svizzera, degli algerini in Francia, dei cinesi che costruirono la ferrovia transcontinentale negli Stati Uniti…; spiegando perché si parte: le guerre, le risorse che mancano, i diritti violati, il desiderio di nuove prospettive… Come sempre basta scegliere una di queste piste, e seguirla con pazienza in modo da costruire passo dopo passo anche una conoscenza storica della questione, per aiutare i nostri giovani a capire che quando vedono i telegiornali che parlano degli «sbarchi», stanno guardando un presente che si fa storia.

I cambiamenti nella società

Per concentrarci in particolare sul periodo posteriore al 1948 credo che nella scuola primaria si debba provare ad inquadrare e a tematizzare la grande svolta avvenuta in Italia e nella società occidentale a partire dal boom economico. Occorre cioè concentrarsi sugli aspetti dei quadri storico-sociali di vita che in questo periodo sono mutati rapidamente. La perdita del mondo contadino, le trasformazioni nei modi di vita indotte dallo sviluppo economico impetuoso, le migrazioni interne, l’affermazione del consumismo cambiano profondamente la quotidianità della vita e il nostro sguardo sulla realtà.

Inquadrando queste tematiche abbiamo la possibilità di agire a ritroso, di far conoscere o riconoscere questi aspetti a partire dalle differenze che presentano rispetto al presente. È un approccio di tipo storico sociale, pur declinato per bambini della primaria. L’abituale lavoro di conoscenza delle due generazioni precedenti (madri-padri e nonne-nonni) diviene anche un’occasione per attraversare i mutamenti delle consuetudini di vita, degli oggetti, delle forme della comunicazione, della scrittura, del lavoro. Basta recuperare e mettere in fila gli apparecchi per telefonare, per ascoltare la musica, per scrivere degli ultimi 60 anni per avere a disposizione un piccolo museo della tecnica che può rivelarsi uno stimolante punto di partenza – soprattutto attraverso il metodo dell’intervista – per risalire dall’oggetto alle persone e ai racconti.

Guardare la Costituzione con gli occhiali della storia

L’insegnamento trasversale di Cittadinanza e Costituzione può anch’esso, se utilizzato in modo opportuno, permettere di aprire finestre sul Novecento, riaffermando che la costruzione di una coscienza civica e democratica non si apprende sulle regole del diritto, ma comprendendo i processi storici che ne sono all’origine. Quindi lo studio della della Costituzione in classe non deve ridursi alla presentazione e al commento delle norme giuridiche, ma deve riportarci alla Costituzione come crogiolo di idealità e speranze maturate nell’ambito della Resistenza, e quindi come risultato storico di una lotta contro il Fascismo e il Nazismo, come punto di partenza per una storia di battaglie per l’uguaglianza, la giustizia e la parità dei diritti che continua dal 1948 fino al presente.[25] Se intesa in questo modo, allora non ha senso, come invece fanno i sussidiari – parlare di Costituzione senza parlare di fascismo, senza studiare Mussolini e i balilla e le violenze e il bellicismo e l’imperialismo in Africa e nei Balcani, terre native dei bisnonni di molte nostre alunne e alunni. Certo è difficile, comporta scelte di tempo e di indipendenza didattica. Ma solo così ha senso parlare ad una bambina nata nel 2010 a Bologna con la bisnonna vedova del marito che morì combattendo in Russia o a un bambino del 2011 con il bisnonno che ha subìto il colonialismo francese o belga o italiano. Ovviamente è già un ottimo risultato se nella scuola primaria si riesce ad imbastire e a trasmettere l’idea di una Carta che trae la sua origine da una lotta storicamente realizzata e non da un’idea astratta di giustizia.

Conclusioni

In conclusione credo che ci si debba porre una ulteriore domanda: a noi questa organizzazione del curricolo di storia della scuola primaria, a quindici anni dall’adozione, ci convince? Alcuni dei limiti che ho provato ad illustrare sono reali? E se alcune delle problematiche descritte hanno fondamento, è possibile aprire nuovamente una discussione pubblica sul modo di affrontare la «storia generale», sul metodo e la costruzione dei concetti e sulla didattica della storia recente nella scuola primaria? è ragionevole riaprire un dibattito su quale didattica della storia affidare a quella particolare categoria di docenti che sono le maestre e i maestri generalisti della scuola primaria?

Io credo che sia necessario. Credo che gli Istituti della Resistenza e dell’Italia contemporanea possano essere attori in questa discussione che non presenta certo soluzioni facili, che da una parte deve prendere atto dei cambiamenti intervenuti negli ultimi vent’anni, ma che allo stesso tempo può considerare tale realtà come modificabile. Riaprire la discussione, a partire dalla raccolta dell’opinione degli stessi insegnanti, sarebbe già un grosso passo avanti, fare finta di nulla credo non serva a nessuno.


Note:

[1]Dpr 14 giugno 1955, n. 503.

[2]Vedi ad esempio L. Borghi, G. Quazza, A. Santoni Rugiu, C. Dellavalle (a cura di), Libri di testo e resistenza. Atti del Convegno nazionale tenuto a Ferrara il 14-15 novembre 1970, Roma, Editori riuniti, 1971.

[3]Dpr 12 febbraio 1985, n. 104.

[4]Dm 4 novembre 1996, n. 682, art. 5.

[5]Ampia rassegna di testi normativi approvati, proposte normative e interventi al dibattito nella pagina web Sissco dedicata a La riforma dei cicli e la storia <http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/> [8-5-2019].

[6]«Lavorando empiricamente su un numero limitato di esempi, il bambino imparerà a riconoscere e distinguere le caratteristiche dei fondamentali modelli di società […] L’insegnante sceglierà i quadri di società in modo da presentare casi esemplari relativi alla società di caccia e raccolta, alle società agricole, con particolare attenzione alla dimensione urbana, a quelle pastorali, e alla società industriale, equilibratamente ripartiti nel tempo e nello spazio», Indicazioni per il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale per la scuola di base, 2001.

[7]Miur, Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria, 2004, pp. 22-23, 35-36.

[8]Miur, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, 2007.

[9]Miur, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Decreto 16 novembre 2012, n. 254. Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del dpr 20 marzo 2009, n. 89.

[10]Cm Miur  31 maggio 2012 n. 49.

[11]Si tratta del «Manifesto per la riconquista dei Programmi Nazionali e la difesa della libertà d’insegnamento», primi firmatari M. Balsamo, R. Dondarini, M. Pieralisi, R. Roberti, L. Varaldo; l’appello era stato redatto in ottobre del 2007 nell’ambito del Festival della storia di Bologna e mescolava vari temi ma partiva dalla contestazione del curricolo di storia; <http://manifestodei500.altervista.org/wp-content/uploads/2007/12/proposta_bo_con_primi_400.pdf> [8-5-2019].

[12]Nella rassegna delle risposte (4551) viene comunicato che esse provengono solo per il 29,3% «da un gruppo degli insegnanti su mandato del collegio dei docenti», per il 21,8% «da un gruppo informale di docenti», mentre la maggior parte delle risposte viene prodotta dai soggetti più implicati nella realizzazione delle trasformazioni: «dal dirigente e/o dal suo staff»: 49,9%.

[13]Miur, Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018, p. 10, <http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari.pdf> [8-5-2019].

[14]Legge 169 del 30 ottobre 2008; già nel 2006 era stata istituita l’attività educativa e didattica unitaria denominata Educazione alla cittadinanza, senza scansioni annuali e non organizzata secondo parametri storici: Miur, Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria, 2004, p. 47.

[15]Maila Pentucci, Il manuale scolastico e la trasposizione dei saperi storici. Un esempio di analisi, Novecento.org, n. 12, agosto 2019.

[16]Per una disamina critica verso i test nella scuola primaria: G. Gabrielli, Insegnare per test. La scuola primaria e lo spirito del tempo, “aut aut”, 358, 2013 <https://issuu.com/autaut/docs/gabrielli> [8-5-2019].

[17]Cittadini del XXI secolo (Mondadori Education, 2019), Esplora il mondo (La scuola, 2019), Che saperi (Rizzoli education (Fabbri – Erickson, 2019), Studio così (Cetem, 2019), On. Accendi la mente, (Pearson, 2019), Terramare (Giunti, 2019), Le fantastiche quattro (Rizzoli, 2018), Sussidiario delle discipline (Gaia, 2019), Campo base (Giunti Del Borgo, 2019), Grandi scoperte (Pearson, 2018), Nati per conoscere (Mondadori, 2018), Passo dopo passo nelle discipline (Tredieci, 2019), @discipline.it (Eli – La spiga, 2018), Capire il presente (Mondadori, 2017), Che idea (Gaia, 2017), Che magie (Rizzoli, 2019), Il tempo delle idee (Giunti, 2018), Imparare a 360 gradi (Pearson, 2017).

[18]Basti pensare che nelle schede rilevate sulle buone pratiche organizzate dagli Istituti sul periodo 1948-2018, solamente 3 su 173 riguardano anche la fascia della scuola primaria. Ovviamente il baricentro è spostato indietro sulla Resistenza e sul fascismo, e quindi non compare nella rilevazione, ma il dato è comunque indicativo di una perdita di centralità di questa fascia scolastica. Sui risultati del rilevamento effettuato in questa primavera vedi il testo di Flavio Febbraro e Andrea Saba in questo dossier.

[19]Cfr. G. Gabrielli, Costruire linee del tempo nella scuola primaria, Novecento.org, n.. 13, febbraio 2020.

[20]In realtà fino a tredici o quattordici anni, poiché la storia del Novecento viene affrontata per la prima volta a quella età)

[21]A. Portelli (a cura di), Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Roma, Donzelli, 2017.

[22]Anche il già citato documento del Miur del 2018 vi fa esplicito riferimento: «Particolarmente significativo risulta il ricordo delle lotte di liberazione e del successivo momento di concordia nazionale che ha consentito di elaborare e poi di consolidare la nostra Costituzione», Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018, p. 10, <http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari.pdf>.

[23]Miur, Gli alunni con cittadinanza non italiana, a.s. 2016/2017, marzo 2018 <https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/FOCUS+16-17_Studenti+non+italiani/be4e2dc4-d81d-4621-9e5a-848f1f8609b3?version=1.0>.

[24]è incredibile che in corrispondenza con il cambiamento del curricolo di storia nella scuola primaria si sia attuata una parallela riduzione della geografia insegnata nello stesso ordine di scuola alle caratteristiche dell’Italia, spostando alla scuola secondaria non solo l’approccio al mondo extraeuropeo, ma quello alla stessa Europa.

[25]C. Marcellini, Cittadinanza e Costituzione… «Mamma mia»!, Novecento.org, n. 12, agosto 2019.

LA SCUOLA NON SI FERMA, MA SUI PRECARI IL MINISTERO PROCEDE BENDATO

DENUNCIAMO

1.     Nessuna garanzia di stipendio per molte/i docenti

2.     Indizione di concorsi che non potranno effettuarsi in modo da consentire l’assunzione entro settembre

3.     Mancato rinnovo delle graduatorie per l’attribuzione delle supplenze

CHIEDIAMO

1.     Immediato ampliamento degli organici

2.     Doppio canale di assunzione

3.     Rinnovo delle graduatorie e utilizzo delle graduatorie provinciali

4.     Proroga di tutti i contratti in essere all’inizio dell’emergenza

Come accaduto in altri settori, anche nella scuola l’emergenza da Covid-19 ha prodotto gli effetti più pesanti sui lavoratori e sulle lavoratrici con minori tutele contrattuali.

Di seguito le nostre denunce:

1.     Nessuna garanzia di stipendio per molte/i docenti

Ogni giorno, infatti, ci giungono notizie e segnalazioni relative a personale precario con contratto formalmente attivo, ma stipendio non pagato o di supplenti temporanei a cui, nonostante quanto stabilito dal decreto legge del 17 marzo 2020, n.18, non è stato rinnovato il contratto. Tale decreto, all’art. 121, prevedeva chiaramente la conferma e la proroga durante il periodo di sospensione/chiusura delle scuole per tutti i supplenti temporanei, ma, fin da subito, alcune note esplicative ambigue e fuorvianti, unitamente alle manovre e ai temporeggiamenti messi in atto da alcuni dirigenti, ne hanno ostacolato l’applicazione, offrendo per l’ennesima volta l’immagine di un potere arrogante che, proprio mentre sbandiera e propaganda misure di sostegno e solidarietà nei confronti delle fasce più deboli, nella pratica agisce bloccando e negando diritti al solo scopo del risparmio.

Tutto questo produce un’evidente dissonanza con la narrazione volutamente parziale e fintamente ingenua della ministra Azzolina rispetto allo stato di salute della scuola pubblica italiana, e viene quindi messo in secondo piano se non addirittura omesso nelle lunghe esternazioni a cui ci sta da qualche settimana abituando: sta andando tutto bene, la didattica a distanza funziona benissimo, la scuola non si ferma.

E, in effetti, quest’ultima constatazione è vera: in questa fase di emergenza, pur tra mille difficoltà, la scuola non si è fermata. Ma, vorremmo dire alla Ministra, questo è stato possibile grazie all’impegno di tutti, anche di quei 170 mila docenti precari (circa il 20% dell’intero organico) che, anche in questa particolare situazione e come sempre, hanno continuato a svolgere il proprio servizio e le proprie mansioni (ordinarie e straordinarie) al pari dei colleghi di ruolo. In cambio, come si è detto, alcuni di loro hanno ottenuto la mancata corresponsione dello stipendio o il mancato rinnovo del contratto; tutti, invece, in vista dell’inizio del prossimo anno scolastico, hanno ricevuto in dono le disposizioni del recente decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, relative alle assunzioni di personale docente a tempo indeterminato e determinato. Nello specifico, l’incredibile decisione di bandire comunque i concorsi previsti, pur non potendosi gli stessi effettuare fino al termine delle più generali restrizioni relative ai divieti di assembramento, e quella di rinviare di un anno l’aggiornamento, il rinnovo e la provincializzazione delle graduatorie di istituto.

2.     Indizione di concorsi che non potranno effettuarsi in modo da consentire l’assunzione entro settembre

Per quanto riguarda il primo punto, già in passato abbiamo denunciato le storture e le ingiustizie sottese alla promulgazione dei quattro bandi previsti (un concorso ordinario per infanzia e primaria e un concorso ordinario, uno straordinario e una procedura abilitante per la scuola secondaria), dovute soprattutto al loro carattere parziale e transitorio, nonché alla perenne indisponibilità da parte del Ministero ad affrontare il problema del reclutamento in modo strutturale(vedi qui).

Il concorso straordinario previsto per la scuola secondaria, ad esempio, che avrebbe la pretesa di risolvere il problema del precariato, delinea un percorso fortemente selettivo (selezione data dal numero dei posti messi a bando e dal tipo di prova sottoposta ai candidati) al quale nemmeno tutti coloro che hanno svolto tre anni di servizio potranno partecipare. Come sottolineato anche nel parere recentemente espresso a proposito dal CSPI, infatti, non verrà riconosciuto il requisito del servizio agli insegnanti precari che, sopperendo alle ataviche carenze strutturali del sistema di formazione, negli ultimi anni hanno lavorato sui posti di sostegno senza la relativa specializzazione. Più in generale, l’intenzione di procedere comunque al bando di tali concorsi, considerando la sempre più concreta impossibilità di svolgerli entro l’inizio del nuovo anno scolastico, più che l’idea di una scuola che non si ferma, offre l’immagine di un Ministero che vuole nascondere le difficoltà che a settembre si verificheranno in relazione alle assunzioni a tempo indeterminato.

Questo perché, in linea con i ministeri precedenti, anche adesso si continua a far finta di non vedere quali sono i reali e strutturali problemi di un sistema di reclutamento che non può affidarsi unicamente al meccanismo del concorso per titoli ed esami (ordinario o straordinario che sia) per coprire tutti i posti disponibili all’inizio di ogni anno scolastico.

3.     Mancato rinnovo delle graduatorie per l’attribuzione delle supplenze

Con la seconda disposizione, invece, si blocca l’attuazione dell’unico provvedimento che avrebbe potuto in qualche modo alleviare le difficoltà che già da qualche anno ormai si ripetono nell’assegnazione degli incarichi e delle supplenze e cioè quello che, oltre all’aggiornamento e al rinnovo delle graduatorie d’istituto, prevedeva anche la trasformazione delle stesse in graduatorie provinciali, rendendo tali assegnazioni molto più semplici, veloci e soprattutto trasparenti. Nessuna di queste operazioni verrà fatta e, considerando la situazione non esattamente normale in cui ci troveremo ancora a settembre, questo provocherà un ulteriore aggravio per il lavoro delle segreterie – già fortemente provate da quando, con il progressivo svuotamento delle Graduatorie ad Esaurimento, soprattutto nella scuola secondaria, in numerose province, la maggior parte degli incarichi viene conferita attraverso la II e la III fascia della Graduatorie di Istituto – e quindi ulteriori ritardi nell’individuazione dei supplenti. Inoltre, in questo modo, non solo i docenti già iscritti non potranno aggiornare i propri punteggi o operare modifiche sulle scuole scelte o sulle province, ma soprattutto non saranno consentiti nuovi ingressi, per cui, inevitabilmente, si assisterà a un ulteriore aumento dei contratti stipulati attraverso l’inaccettabile e incontrollabile meccanismo delle MAD (Messe a disposizione), candidature personali degli aspiranti docenti, a cui segue una scelta arbitraria da parte delle scuole.

Sulla base di queste premesse, sollecitiamo un significativo ripensamento e una serie di interventi nelle seguenti direzioni:

1.     Immediato ampliamento degli organici

Innanzitutto riteniamo sia necessario procedere ad un ampliamento degli organici(docenti ed ATA), misura indispensabilie per mettere in atto le misure annunciate dal Ministero a partire da settembre relativamente alla diminuzione delle classi pollaio, nonché per ottenere un vero miglioramento della didattica. Il primo passo in questo senso dovrebbe avvenire, come ripetiamo ormai da anni, attraverso la trasformazione dell’organico di fatto (o in deroga sul sostegno) in organico di diritto.

2.     Doppio canale di assunzione

Per quanto riguarda le assunzioni a tempo indeterminato crediamo che, al posto del previsto concorso straordinario per la secondaria, sia necessario procedere al bando di un concorso per soli titoli, a cui dovranno poter accedere, senza meccanismi selettivi, tutti i docenti che hanno maturato 3 anni di servizio nella scuola pubblica statale, su posto comune e di sostegno. Solo in questo modo sarà possibile assumere a tempo indeterminato, fin dall’ 1 settembre, tutti i docenti necessari a coprire i numerosissimi posti che rimarrano vacanti dopo aver scorso le Graduatorie di Merito e le Graduatorie a Esaurimento. Quando le condizioni lo permetteranno, inoltre, dovrà essere bandito anche il concorso ordinario, nelle province e nelle regioni dove Graduatorie ad esaurimento e Graduatorie di merito sono già esaurite, in modo da ristabilire finalmente, e a livello strutturale, un sistema formato sul meccanismo del doppio canale, l’unico che, come sosteniamo ormai da tempo, e a maggior ragione ribadiamo in questo momento, può garantire nella scuola italiana il rispetto dei diritti di tutti: degli studenti, ad avere il numero più alto possibile di docenti stabili e in cattedra fin dall’inizio di ogni anno scolastico; dei docenti precari che da anni ormai sorreggono le sorti della scuola attraverso gli incarichi e le supplenze e continueranno a farlo; perché di una piccola quota di precariato ci sarà sempre bisogno e non è giusto continuare a sfruttare il lavoro di migliaia di docenti senza riconoscere in modo strutturale il diritto ad essere assunti dopo tre anni di servizio, come anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha più volte ribadito. E’ questo che nessuno al Ministero sembra voler capire!; l’altro canale di assunzione continuerà ad essere il concorso a cui accederà chi legittimamente desidera provare ad insegnare subito dopo la laurea o comunque senza sottoporsi al logorante meccanismo del precariato.

3.     Rinnovo delle graduatorie e utilizzo delle graduatorie provinciali

Per quanto riguarda le assunzioni a tempo determinato, invece, ribadiamo la necessità di procedere fin da quest’anno all’aggiornamento, al rinnovo e alla provincializzazione della graduatorie di istituto. Pur comprendendo, infatti, le difficoltà legate all’espletamento di tali operazioni in un momento come questo, le stesse non ci sembrano particolarmente diverse né maggiori rispetto a quelle affrontate da tutti i docenti, e in modo particolare da quelli precari, per mantenere i contatti con gli studenti e portare avanti la loro fondamentale funzione educativa attraverso i dispositivi informatici (che, tra le altre cose, nessuno ha ritenuto opportuno fornire loro e per il reperimento dei quali i precari non possono neanche usufruire dei 500 € della carta docente). In assenza di tali operazioni, infatti, non solo il prossimo anno scolastico inizierà all’insegna dei soliti problemi legati alla mancanza di insegnanti, ma si assisterà a una crescita esponenziale del numero di supplenze e incarichi conferiti attraverso l’inaccettabile meccanismo delle MAD (messa a disposizione) che oltre a essere privo di qualsiasi forma di trasparenza e ad aprire a incontrollabili meccanismi clientelari, in un contesto in cui la mobilità nel territorio nazionale potrebbe ancora essere soggetta a limitazioni, appare sempre più assurdo e addirittura irresponsabile.

4.     Proroga di tutti i contratti in essere all’inizio dell’emergenza

In ultimo, ma non certo per ordine di importanza, in linea con il principio che mira a salvaguardare i livelli occupazionali, sollecitiamo l’immediata proroga di tutti i contratti di supplenza in essere all’inizio dell’emergenza, in moltissimi casi inspiegabilmente interrotti e spesso soggetti a inaccettabili ritardi nei pagamenti, non solo fino alla fine delle lezione o al termine della attività didattiche, ma fino al 31 agosto, in modo da evitare le inutili lunghezze burocratiche che da sempre caratterizzano l’attivazione della Naspi e che in un momento come questo sarebbero davvero insostenibili. In termini di spesa, del resto, tale operazione avrebbe un’incidenza molto contenuta, riducendosi nella pratica alla differenza tra lo stipendio e l’indennità di disoccupazione.

Auspichiamo che le nostre denunce e le nostre proposte possano aiutare il ministero a liberarsi presto dalle bende.

13/04/2020

COBAS – COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA

NO ai pieni poteri alla ministra (o ai suoi suggeritori) e all’imposizione della didattica a distanza!!

NO AI PIENI POTERI ALLA MINISTRA (o ai suoi suggeritori) E ALL’IMPOSIZIONE DELLA DIDATTICA A DISTANZA!

SÌ AL RICONOSCIMENTO DELL’ IMPEGNO DI DOCENTI E ATA PER MANTENERE VIVA LA SCUOLA PUBBLICA COME PRESIDIO DI CIVILTA’ E CULTURA  ANCHE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS!

Nelle scuole italiane, come è stato riconosciuto da tutti, docenti e personale ATA hanno sinora garantito, nonostante l’emergenza, che non fosse interrotto il rapporto con gli studenti. In particolare, i docenti, con il loro lavoro volontario, sono riusciti a condividere con gli allievi ansie e paure e hanno mantenuto in vita, per quanto possibile, il percorso didattico-educativo. Il decreto legge sulla scuola, invece di accompagnare questo percorso, rischia di mettere la parola fine al clima positivo che si è determinato nella maggior parte delle scuole. Innanzitutto, il decreto legge per larghi aspetti conferisce, seppur con dei paletti, alle ordinanze ministeriali il potere di derogare tutta una serie di leggi, dando di fatto “forza di legge” ad un atto amministrativo e, quindi, poteri speciali al Ministro dell’istruzione. Vengono bypassati sia lo stesso CdM (seppur in parte), sia il Parlamento, ma non c’era alcuna ragione di ulteriore straordinaria urgenza per creare di fatto una nuova fonte del diritto. E’ una tecnica già usata per DL e DPCM, che rischia di diventare strutturale anche dopo la fase dell’emergenza, con un’ulteriore concentrazione personale del potere politico. 

Nel merito, che senso ha imporre la didattica a distanza quando nello stesso tempo si afferma pubblicamente che essa sta già funzionando positivamente?  E’ un oltraggio allo straordinario senso di responsabilità dimostrato dai docenti. Non solo: come si configura in concreto tale obbligo se un terzo delle famiglie italiane non ha computer o connessione, addirittura il 42% al Sud? E che significa l’obbligo nelle scuole in carcere, dove i docenti non hanno avuto fin qui alcuna possibilità di raggiungere i propri studenti, tanto che il Garante nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale ha dovuto scrivere una lunga Lettera ai Ministri dell’Istruzione, dell’Università e della Giustizia, per invitarli al rispetto del diritto all’istruzione in carcere? E che dire di una Ministra che, mentre chiede nell’emergenza a mezza Italia di attrezzarsi telematicamente in una settimana, non è poi in grado di garantire la digitalizzazione dell’aggiornamento delle graduatorie, benché essa fosse già prevista e non dettata dall’emergenza? E’ paradossale anche che, mentre il governo si affanna per dotare di potere d’acquisto chi è costretto a restare a casa, molti precari della scuola non ricevono da mesi lo stipendio, cosa particolarmente grave in una situazione di impoverimento generale di tante famiglie.

L’imposizione della didattica a distanza ha una sola motivazione: spingere perché diventi non uno strumento da usare solo nella fase emergenziale, ma qualcosa di strutturale, come se potesse sostituire la didattica in presenza, l’unica che può garantire la relazione interpersonale indispensabile per la crescita sia umana che cognitiva degli studenti. A tal proposito, sono preoccupanti le dichiarazioni sulla continuazione della didattica a distanza nella fase iniziale del prossimo anno scolastico. Invece, bisogna ridefinire subito i criteri di formazione delle classi, di tutte le classi, non solo di quelle pollaio. Va ridotto drasticamente il numero degli alunni per classe per garantire la salute di tutta la comunità scolastica, nonché dignità al lavoro docente e qualità didattica ai nostri studenti. Per garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico è, quindi, necessario prevedere l’immissione in ruolo, con concorsi per soli titoli e/o usando le GAE e le GM, di tutti i docenti precari che hanno maturato almeno tre anni di lavoro e di tutto il personale ATA già occupato per almeno 24 mesi. E’ di tutta evidenza che non sarà possibile esaurire tutti i passaggi del concorso straordinario, né tantomeno di quello ordinario prima di settembre: il Decreto invece, confermando questa strada, di fatto determinerà il caos nella fase di avvio del prossimo anno.

Dal punto di vista didattico se la scelta (e non poteva non essere così) è quella di ammettere tutti gli alunni alla classe successiva o agli Esami e modificarne la conduzione, l’organizzazione del lavoro deve essere conseguente. Non vanno, quindi, inventati sistemi di valutazione a distanza ridicoli e che inquinano il rapporto docente- studenti, oltre che essere palesemente illegittimi: non è pensabile valutare conoscenze e capacità se non è possibile garantire la necessaria vigilanza, né la privacy. Ma, visto che tutti gli alunni saranno promossi (o ammessi agli esami), si potrà procedere agli scrutini finali tenendo conto dei risultati del primo trimestre/quadrimestre, delle prove di recupero e delle votazioni del secondo periodo prima della sospensione dell’attività didattica. Si userà anche il periodo della didattica a distanza, non per mettere voti, ma unicamente per completare la valutazione degli allievi valorizzando tutti i feedback ricevuti. Coloro che insistono per i voti a distanza, in realtà, mirano a far passare una valutazione solo delle c.d. competenze, intese come mero “addestramento”, mentre la scuola deve valutare l’acquisizione dei saperi disciplinari (da non confondere con il nozionismo) e, tramite essi, lo sviluppo delle capacità cognitive, in termini di analisi, visione complessiva dei fenomeni, rielaborazione e sviluppo del pensiero critico. Chiedere oggi di mettere voti a distanza significa mortificare la professionalità dei docenti e svilire lo stesso lavoro degli studenti. Va rimarcato che il DL, nell’unico riferimento specifico alla valutazione, l’art.1 c.4 lett. a, prevede la possibilità di usare modalità telematiche solo per la “valutazione finale degli alunni, ivi compresi gli scrutini finali” e NON per la valutazione delle singole prove (con voti) con la didattica a distanza. Infatti, le norme derogabili citate (art. 2 D. Lgs n. 62/2017 e art. 4 DPR n. 122/2009) fanno riferimento solo alla valutazione periodica e finale. Anche la possibilità di svolgere il colloquio dell’Esame di Stato con “modalità telematiche”, è prevista in modo specifico, come deve essere per ogni deroga alle norme generali. Quindi, non si può desumere alcun obbligo specifico di svolgere valutazioni a distanza dall’obbligo generale delle prestazioni didattiche a distanza, tra l’altro previsto solo per il periodo di sospensione delle attività in presenza. Per il prossimo anno scolastico, toccherà alle singole scuole programmare le attività tenendo conto della eccezionalità di quanto avvenuto, individuando tempi e procedure che devono necessariamente essere coerenti con problemi e bisogni dei singoli alunni e delle singole classi. Sarà necessario stanziare gli adeguati finanziamenti per tali attività aggiuntive, ma il decreto prevede la solita formula del divieto di nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.  Inoltre, la sospensione dei requisiti per l’ammissione all’ Esame di Stato relativi allo svolgimento dei quiz Invalsi e delle ore minime di PCTO (ex ASL) deve valere sia per quest’anno che per l’anno prossimo, perché altrimenti le attuali quarte classi si troverebbero a dover svolgere stage aziendali nell’ultimo anno di corso, già ingolfato per altri motivi. Anche per le terze il quantitativo minimo di ore andrebbe ridotto in proporzione.                                                                                            

 Infine, dato che questo decreto conferma che sino a oggi non c’era alcun obbligo rispetto alla didattica a distanza, chiediamo a quei dirigenti scolastici che hanno imposto, mediante circolari e ordini di servizio palesemente illegittimi, a docenti e alunni di lavorare come se la didattica on line fosse uguale a quella in presenza, non tanto di chiedere scusa, ma di pensare alle dimissioni. La scuola deve rimanere una comunità educante e non può essere il luogo dove sperimentare le proprie pulsioni autoritarie, a cui pare allinearsi in queste ultime ore anche la ministra Azzolina.

   Esecutivo nazionale dei COBAS – Comitati di base della Scuola

Didattica a distanza: pensieri, parole, opere e, soprattutto, omissioni di Andrea Scano

Pubblichiamo le interessanti riflessioni del maestro Andrea Scano

08/04/2020

Da bambino ho seguito (come molti, immagino) il catechismo. Uno dei dubbi che ogni tanto apparivano alla mia mente riguardava il significato della parola “omissioni”. Sì, perché è facile per un bambino comprendere il senso di “pensieri, parole, opere”, ma le “omissioni” cosa sono esattamente? Di che cosa sono fatte? Si muovono, sono vive come gli animali e le piante, sono dure e consistenti come le cose reali che ci circondano?
Crescendo ho compreso finalmente il senso di quella parola, inizialmente immerso nella nebbia dell’ambiguità.
Aldilà del significato religioso, ho potuto constatare come tante, troppe volte nella vita, la negazione della verità dei fatti passi per delle omissioni. Certo, poi esistono pure le bugie belle e buone, esistono le false testimonianze e le “fake news”.
Ma molto spesso una narrazione falsa e tendenziosa della realtà passa attraverso un accurato uso dello strumento delle omissioni: “quelle cose lì sono importanti per comprendere la verità e per questo motivo io, volutamente, non le dico”.
L’introduzione della cosiddetta “Didattica a Distanza” (DaD per gli amici) è stata uno splendido esempio di questo esercizio della capacità di omissione. Omissione che, se in un contesto religioso è “peccato”, in un contesto laico costituisce perlomeno “grave scorrettezza” e “negazione della verità”.
A seguito dello tsunami provocato dall’emergenza COVID 19 (con annessa sospensione delle attività didattiche, chiusura delle scuole e numerose altre misure restrittive) tutto il mondo della scuola si è interrogato sul da farsi. In questo quadro si è inserita la ministra dell’istruzione rilasciando una serie di dichiarazioni che, nella migliore delle ipotesi, avevano lo scopo di rassicurare le famiglie ma che non sono state assolutamente chiare e complete. Parlando a più riprese di “didattica a distanza” (come se fosse la cosa più normale del mondo) la ministra ha omesso di spiegare che tale attività non è minimamente normata. Cioè non esiste un quadro che stabilisca regole e garanzie per tutti nell’utilizzo di tecnologie DaD.
Quindi, la cosiddetta “didattica a distanza” non ha nessun fondamento giuridico nell’ordinamento dello Stato italiano. A maggior ragione, non esiste alcun obbligo per i docenti e per gli alunni di effettuare attività di “didattica a distanza”.
Solo recentemente, nella bozza di decreto legge emanato dal Consiglio dei ministri il 6 aprile, all’articolo 2 comma 3 si trova scritto: “In corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza”.
Incredibilmente, non c’è scritto altro. La frase è assolutamente generica (ci si può riferire ad un sistema di videoconferenze per sei ore al giorno come ad una telefonata al rappresentante di classe una volta al mese) e soprattutto non fornisce garanzie a docenti, dirigenti, alunni e genitori.
Perché anche di garanzie e non solo di obblighi c’è bisogno, quando si fa una legge. Sappiamo tutti che viviamo una situazione di emergenza, che siamo chiamati ad uno sforzo eccezionale, che dobbiamo mobilitare tutte le risorse e quant’altro. Sono d’accordo. Siamo tutti d’accordo.
Il punto è: come?
Ci vogliamo muovere nel rispetto di uno Stato di diritto, nel rispetto delle norme (anche di quelle eccezionali e urgenti), o ci vogliamo muovere nell’ottica del far west?
Lo chiedo perché sembrerebbe che certi dirigenti e docenti, colpiti da un’improvvisa e smodata passione verso la DaD, abbiano scelto questa seconda strada. Magari senza piena consapevolezza, magari in buona fede, ma comunque ben decisi ad affermare la loro “legge” (quella tra virgolette), se necessario con la forza delle “Colt 45”.
L’alternativa al far west è la legge. Senza virgolette.
Troppo spesso ci dimentichiamo che le leggi non sono solo degli orpelli e degli appesantimenti burocratici.
Esse possono offrire un sistema di garanzie, un alveo entro cui indirizzare le nostre azioni rispettando diritti e doveri di ognuno. In altre parole: rispettando le persone. E quando parliamo di scuola, con particolare delicatezza, rispettando i minori.
Dico questo perché spesso chi come me evidenzia in questo frangente l’assenza di una normativa chiara e nitida viene “verbalmente lapidato” in quanto “scansafatiche troglodita che non sa usare i moderni mezzi tecnologici e che si dimentica della situazione eccezionale che stiamo vivendo”.
Ma chi scaglia gli anatemi commette gravi scorrettezze e (ancora una volta) omissioni. Calma e gesso, quindi.
Io stesso, sin dall’inizio di questa emergenza, sto dedicando da casa mia tanto tempo e risorse per “mantenere un filo” con i miei giovani alunni, aiutandoli, motivandoli e, come dico loro, “tenendoli un poco in allenamento”. Né io né tanti altri colleghi e colleghe vogliamo essere tacciati di menefreghismo. Però vorremmo mantenere anche la caratteristica di “esseri pensanti dotati di sensibilità e di spirito critico”.
Entriamo nel merito. Quando parlo di “mancanza di un quadro giuridico di riferimento” non mi riferisco solo a un articolo di legge che da domani imponga la DaD come obbligo. Questo sarebbe (nel caso che si voglia procedere in tal senso), necessario, ma assolutamente insufficiente.
Mi riferisco invece ad un insieme ricco e numeroso di criticità da affrontare e risolvere (se vogliamo restare nel campo di uno Stato di diritto e non nel far west). E da affrontare anche e soprattutto da un punto di vista pedagogico.
Provo ad elencarne qualcuna, cercando così di dare un contributo a una descrizione veritiera della realtà. Fuggendo la comoda tentazione dell’omissione.

  • Discriminazione tra bambini che hanno i mezzi (computer e linea disponibili e per molte ore al giorno) e bambini che non hanno questi mezzi. E’ vero che il governo ha stanziato dei fondi a tal proposito. E’ altrettanto vero che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e prima che la situazione si risolva concretamente, saranno passati mesi.
  • Ci sono situazioni familiari molto diverse: in alcuni casi le famiglie possono supportare agevolmente i bambini durante le “lezioni”, in altri casi queste ultime possono essere un fattore destabilizzante in situazioni familiari poco favorevoli, ma diffuse. Si pensi a genitori che sono impegnati tutto il giorno col lavoro agile a casa, a genitori con diversi figli piccoli, a genitori separati, o con situazioni difficili e conflittuali o comunque con pochi aiuti nella gestione quotidiana. In questi casi una DaD apparentemente “moderna ed efficace” in realtà serve solo ad aumentare disparità sociali e disuguaglianze tra chi è ben aiutato a casa e chi non lo è, venendo meno al dettato costituzionale.
  • Non tutti gli utilizzatori sono ragazzi di scuole superiori che interagiscono con i “prof”. Nel caso di utilizzo da parte di bambini si evidenzia la necessità di vigilanza da parte degli adulti nell’uso degli strumenti. Si ripropone il tema della grande disparità tra chi può farlo e chi non può farlo. 
  • L’uso di vari sistemi, tra i quali quelli del tipo “videoconferenza”, lascerebbe totalmente irrisolte le questioni legate ai bambini con disabilità che non avrebbero un supporto quale quello assicurato a scuola e che vivrebbero tale esperienza (molto probabilmente) come frustrante.
  • Grandi criticità rispetto alle tematiche della privacy: sino a ieri ci hanno quasi terrorizzato imponendoci autorizzazioni firmate da entrambi i genitori per scattare una semplice “foto di gruppo della classe” e oggi ci vorrebbero far credere che non c’è alcun problema a far transitare in rete ore e ore di dati, compiti, filmati, registrazioni eccetera? C’è qualcosa che non torna! Il Garante si è recentemente espresso fornendo alcune prescrizioni. Ma restano comunque numerose “zone oscure”. Ricordo che la privacy non è un “vezzo” né un diritto trascurabile. La protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale. Un diritto sacrosanto, la cui violazione non può trovare giustificazione alcuna neanche in situazioni di emergenza. La gratuità con la quale vengono offerti certi servizi online (per esempio l’uso di certe piattaforme) ci dovrebbe far riflettere. Si tratta di pura generosità da parte di chi le gestisce, oppure queste società hanno un tornaconto dalla registrazione e dall’utilizzo dei dati che noi forniamo? Siamo pienamente consapevoli dell’utilizzo che potrà essere fatto di questi dati? I genitori sono consapevoli? Davvero sono possibili tanta leggerezza, spensieratezza e superficialità? Per parlare ancora più chiaro: non possiamo permettere che dati e informazioni riguardanti milioni di bambini e ragazzi, raccolti sistematicamente, vadano ad arricchire i data base di personaggi senza scrupoli. Non possiamo rischiare che una raccolta – dati (sensibili e non) riguardanti minori sia facilmente messa a disposizione di chi potrà in seguito orientare le scelte di acquisto, di lavoro e gli orientamenti politici dei futuri cittadini ed elettori. Dobbiamo fare tutto il possibile perché ciò non accada, ma sinora su questi temi regnano il caos e l’approssimazione. 
  • Da sempre i migliori pedagogisti del mondo hanno giustamente criticato un certo modo di fare scuola basato su una didattica puramente “trasmissiva”. Inoltre è stata frequentemente criticata una impostazione innaturale che prevede che gli alunni (specialmente i bambini) debbano stare ore e ore seduti ai banchi. Queste modalità “tecnologicamente avanzate” delle “DaD” non corrono il rischio di riproporre i medesimi errori, in misura addirittura maggiore? Con l’aggravante che gli alunni restino tante, troppe ore “inchiodati” davanti ad uno schermo. 
  • Spesso chi accosta il lavoro degli insegnanti a casa ad altre forme di telelavoro si dimentica che la scuola non è un ufficio né un’azienda e le relazioni degli insegnanti con gli alunni non sono “atti formali”. E’ del tutto legittimo che un insegnante non voglia “mettere in piazza” davanti a genitori, fratelli, sorelle, nonni (che magari assistono gli alunni vicino al computer) le dinamiche tipiche di un rapporto complesso di un gruppo classe: richiami, complimenti, rimproveri, risposte varie eccetera. Capite subito che si tratterebbe di un campo molto delicato da gestire. Gli insegnanti possono avere delle riserve più che legittime per il fatto di “vedersi registrati” durante le lezioni. E lo stesso, ovviamente, dicasi per gli alunni. 
  • Giusto per mettere i “puntini sulle i” anche dal punto di vista strettamente sindacale … L’utilizzo di tali metodologie presupporrebbe comunque che gli insegnanti dispongano obbligatoriamente di strumentazione tecnologica e di connessione (a proprie spese) e che le mettano a disposizione gratuitamente della scuola, cosa che come è noto non è stabilita da alcun contratto o norma. Ho notizie di una collega, ottima insegnante di rara sensibilità, che per sua scelta non possiede in casa né TV né pc né smartphone. La licenziamo in tronco o pensiamo che siano da rivedere alcuni aspetti contrattuali? O che certe pretese di “tecnologia a tutti i costi” siano semplicemente eccessive? 

Tutte le criticità evidenziate esplodono ai massimi livelli quando si parla di utilizzo di piattaforme per videoconferenza o strumenti simili, utilizzati per 3 – 4 – 5 ore al giorno. Il retropensiero (senza basi scientifiche) è che si possa sostituire con facilità e spensieratezza una “classe vera” con una “classe virtuale”. La sostituzione invece non è affatto scontata, e comunque il passaggio porrebbe enormi problemi. Soprattutto, lo ripeto, quando ci si ricorda che la scuola non è un ufficio né un’azienda e le nostre relazioni con gli alunni non sono “atti formali”.
La straordinaria ricchezza delle dinamiche relazionali (permeate da affettività, è inutile negarlo!) presenti in un gruppo classe “vero” e non virtuale ha bisogno di essere compresa e non compressa.
Stanti tutte queste criticità e l’assenza di un quadro normativo chiaro e certo, mi pare evidente che ad oggi non sussista alcun obbligo di svolgere attività di “DaD”. Ci si può, eventualmente, appellare ad azioni condivise di volontariato e di buonsenso (da parte di tutti: insegnanti, alunni e genitori).
In tutti i casi, è indispensabile una riflessione che sia non solo “tecnologica” o “burocratica”, ma che sia innanzitutto “pedagogica”, prima di abbandonarsi ai troppo facili entusiasmi per le “mirabolanti innovazioni legate al magico mondo del digitale”. Quali risvolti, quali possibili effetti collaterali possono essere indotti dall’adozione di una DaD? Quando si produce un nuovo farmaco, occorre studiarne attentamente gli effetti benefici ma anche i limiti e le controindicazioni. E tutto ciò va dichiarato esplicitamente nel “bugiardino” a corredo del farmaco. Ecco, chi si pone queste domande lo fa di certo non in quanto “scansafatiche troglodita che non sa usare i moderni mezzi tecnologici”. Al contrario, chi si pone queste domande possiede lo sguardo ampio dell’educatore, uno sguardo che sa andare lontano. E’ uno sguardo (non me ne vogliano i tecnici – burocrati – informatici, perennemente esaltati dalle nuove tecnologie) che non ammette bugie né omissioni. Nell’interesse dei bambini e dei ragazzi. Queste settimane di “emergenza COVID 19” hanno comportato una attenzione mai vista prima per il mondo della scuola. In una situazione di crisi mondiale di proporzioni immani, con un numero di morti che aumenta giorno per giorno, l’idea che gli studenti possano perdere due o tre mesi di scuola pare ad alcuni qualcosa di assurdo e inaccettabile. Eppure è sin troppo evidente che in questa situazione la priorità generale è la salute e tutte le altre questioni vengono in subordine!
Questa strana attenzione però puzza di bruciato lontano un miglio perché quegli stessi apparati burocratici che appaiono oggi così solerti nel voler assicurare le lezioni con la “DaD a tutti i costi”, sono gli stessi che gli anni scorsi non si sono fatti scrupoli tagliando risorse alla scuola, lesinando in ogni modo le supplenze (facendo così perdere giorni, settimane, a volte mesi di lezione ai ragazzi senza che nessuno battesse ciglio), abbandonando gli insegnanti delle tante “scuole di frontiera” sempre più in balia di alcuni genitori prepotenti e a volte addirittura violenti. Questa strana attenzione puzza ancora di più, nel momento in cui i grandi gruppi che gestiscono piattaforme e servizi online si aggirano volteggiando come avvoltoi sul mondo della scuola. I fanatici delle “mirabolanti innovazioni legate al magico mondo del digitale” non sembrano preoccuparsene minimamente e, anzi, si augurano che, una volta finita l’emergenza, anche la scuola si trasformi e “modernizzi” (secondo loro), utilizzando a regime videoconferenze e DaD a tutto spiano. Attuando così, finalmente, quella “rivoluzione” di cui la scuola avrebbe tanto bisogno.
Una visione piuttosto ingenua e, lasciatemi dire, piuttosto ignorante della realtà scolastica. Dove ancora una volta si commette un gravissimo “peccato di omissione”, trascurando in questo caso di studiare e comprendere scuola e sistemi educativi nella loro complessità. E attribuendo alla tecnologia il potere taumaturgico di sanare ogni ferita e risolvere ogni problema. Una adorazione assoluta e incondizionata della “divinità tecnologica” alla quale inginocchiarsi e demandare ogni cosa. Una equazione che identifica erroneamente la “innovazione pedagogica” con la “innovazione tecnologica”. Io in alternativa una proposta veramente rivoluzionaria ce l’avrei, pensando al “post emergenza COVID 19”.
Facciamo che quando finisce questa storia del virus, delle mascherine e del distanziamento sociale, dotiamo tutte, ma proprio tutte le scuole elementari di un’area verde ampia e alberata. Un giardino enorme dove i bambini possano giocare a lungo ma anche sporcarsi le mani, coltivare la terra, vedere i semi che si trasformano in piante, i fiori sbocciare. Dove osservino concretamente l’alternarsi delle stagioni.
Forse il mio non è solo un sogno bucolico: i cambiamenti climatici in atto, le emissioni di CO2 in atmosfera, la plastica che invade gli oceani, sono tutti temi assai scottanti che abbiamo temporaneamente rimosso ma che ci attendono al varco, richiedendo urgentissime e sagge risposte. E’ fondamentale che le nuove generazioni siano educate alla capacità di “sentirsi parte della natura e dell’insieme vivente”. L’alternativa potrebbe essere l’annientamento della nostra specie, in tempi non troppo lunghi. Scusate se è poco.
Rispettando un ordine di priorità, forse il ritrovare questa saggezza, questa sensibilità, costituirebbe un fatto pedagogicamente molto più significativo rispetto all’acquisizione di nuove tecniche in modalità videoconferenza.
Andrea Scano – maestro elementare

Il virus è arrivato e ha portato a galla tutte le problematiche di questo Paese di Silvia Fabbri

Testimonianza di Silvia Fabbri

Il virus è arrivato e ha portato a galla tutte le problematiche di questo Paese.

Per il contenimento del contagio il Governo ha varato misure che limitano la libertà dell’individuo per tutelare la sua sopravvivenza, dalle chiusure degli spazi di aggregazione alle limitazioni alla libera circolazione dell’individuo.

Tali restrizioni della libertà individuale sono condivisibili per la tutela della salute pubblica.

Il cittadino, in quanto essere umano, per sopravvivere, necessita di nutrimento, di un’abitazione, dunque di reddito per procurarsi questi beni primari che lo mantengono in vita. In virtù di questa ovvietà, è necessario che il Governo dia la possibilità al cittadino di continuare a vivere, varando nei confronti della popolazione misure di tutela economica, fornendo un reddito a tutti i cittadini che, a causa dell’emergenza in atto, si trovano senza lavoro e di conseguenza senza entrate.

Il Governo ha deciso di chiudere in primis la cultura. Gli spazi della cultura: teatri e scuole, i miei luoghi di lavoro. Docente di Filosofia e Storia iscritta alla terza fascia e attrice professionista, lavoratrice dello spettacolo, docente di recitazione. Precaria.

Prima che il virus giungesse tra noi, in teatro stavo conducendo un laboratorio di recitazione, che ovviamente è stato interrotto, con lezioni riattivate on-line. A scuola stavo svolgendo una supplenza breve su sostegno, partita a gennaio poi posticipata fino a metà marzo, in piena emergenza CoVid-19. La docente che stavo sostituendo ha interrotto il suo congedo. Ho contattato la Dirigente del Liceo romagnolo, in cui prestavo servizio, segnalando che l’art.121 del DL n.18/2020, stabilisce la continuità occupazionale per i docenti supplenti brevi e saltuari. La risposta, fornitami dalla segretaria è stata: la Dirigente si è confrontata con in sindacati, la docente che lei stava sostituendo è tornata in servizio, dunque, il suo contratto è terminato. Diversi i solleciti alla Dirigente del Liceo, da parte mia, del sindacato di cui faccio parte e dal legale del sindacato. Nel frattempo esce una nota Miur incomprensibile e mal redatta che alimenta il caos.

Ed io mi sono trovata senza lavoro, senza nessuna tutela, senza alcun reddito.

Ora, ovviamente, date le circostanze in cui siamo immersi, nessuna scuola può chiamarmi per una nuova supplenza.… ed io come posso procurarmi reddito?

Il Governo dovrebbe tutelare noi docenti di terza fascia in servizio con supplenza breve durante l’emergenza sanitaria e in essere al momento della sospensione della didattica. Invece, tanti docenti titolari che avrebbero voluto e potuto continuare a rinnovare il periodo di sospensione del lavoro sono rientrati in servizio. Di conseguenza rimaniamo senza lavoro, a reddito zero e senza possibilità di chiamata da altre scuole. Parlo a nome di tutti i docenti che erano in servizio di supplenza durante l’emergenza.

Gli spazi della cultura non sono agibili, ma la cultura resta agibile, perché, citando Gramsci: la cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.

Siamo lavoratori della cultura, non dobbiamo lasciare che questa sopperisca, dunque continuiamo a tenerla in vita organizzandoci e rivendicando i nostri diritti chiedendo il Reddito di Quarantena.